24 nov 2011

Non mi è mai piaciuto sottostare ai teteski

Riporto completamente l'articolo che ho trovato su I.O.

qquebec – La colonizzazione tedesca comincia dalla Grecia
Ma quello che non ci dicono è che ciò che si sta consumando veramente in Europa, cioè è una sorta di guerra finanziaria con Berlino quartier generale e Francoforte (BCE) fronte operativo. Se ripercorriamo la storia europea degli ultimi secoli, non possiamo negare che la Germania sia stata al centro delle più sanguinarie guerre europee, poi allargatesi al mondo intero. Tutte guerre che, già dai tempi di Bismark, avevano come scopo l’espansione e il dominio del popolo teutonico in Europa attraverso la conquista di territori, ricchezze, risorse e spazi commerciali. Sembra dunque esserci nella Germania uno storico desiderio di dominio. Allora gli strumenti di forza erano le armi e gli eserciti, oggi è l’euro. Cambia solo lo strumento di offesa, ma l’obiettivo è sempre quello. E il caso del salvataggio della Grecia è emblematico da questo punto di vista. Nel giugno del 1941 la Germania mandò i panzer ad Atene, adesso ci manda la BCE e gli ispettori con la valigetta piena di contratti capestro da imporre ai vinti che prevedono la cessione “volonaria” di importanti quote di aziende, banche e aree demaniali. Come la cessione del controllo della OTE, che gestisce la rete telefonica nazionale o dei porti e degli aeroporti. O la creazione di progetti di sviluppo, quali il recente Progetto Helios, varato dalla Germania, con la cortese collaborazione della Grecia che dovrà mettere a disposizione terreni demaniali dismessi sui quali i tedeschi realizzeranno i loro parchi fotovoltaici per importare quella energia che verrà a mancare con l’addio della Germania al nucleare. Ma gli esempi potrebbero essere tanti. In sostanza, però, la Grecia pagherà in parte i suoi debiti con il fotovoltaico.

La moneta unica come “mezzo di distruzione di massa”
La creazione della moneta unica, del resto, con trattamenti di cambio differenti da stato a stato in riferimento a quella che era nel 2001 la moneta nazionale più forte, cioè il marco tedesco, ha indebolito alcuni paesi rendendoli più vulnerabili all’inflaizone, al tempo stesso rafforzandone altri. L’Italia, paese fondatore dell’Unione Europea, è stata penalizzata sotto questo punto di vista più di altri, con un cambio a 1.936,27 lire per un euro e appesantendo col tempo e in maniera irreversibile quel rapporto debito pubblico/Pil che poteva essere regolato con una svalutazione monetaria della lira. Di fatto la Germania, il cui debito pubblico è al limite della sostenibilità (82% del Pil), ha dalla sua il fatto che l’euro non ha implicitamente svalutato la propria ricchezza, come invece è successo per l’Italia e maggiormente per la Grecia rendendo questi stati più vulnerabili e attaccabili dalla speculazione internazionale sul cambio. A tutti gli effetti, ci siamo accorti ben presto di un fenomeno di inflazione reale fortissimo, con prezzi che tendevano a salire (una pizza margherita che costava 4.000 lire, quasi da subito venne a costare 4 euro sfruttando nell’immediato una debolezza psicologica umana, che tende a considerare il primo numero di una cifra), ed oggi, a dieci anni dall’introduzione dalla moneta unica, possiamo tranquillamente dire che ciò che costava 1.000 lire oggi costa un euro (a un cambio quasi doppio, però).

Quell’oceano di soldi in nero
Se scendiamo più nel dettaglio e senza guardare in faccia nessuno possiamo dire che una parte dell’Italia ha fortemente approfittato dell’avvento dell’euro. Chi ha potuto, ha subito alzato i propri prezzi, e parliamo di commercianti vari, ristoratori, medici, notai, avvocati, commercialisti, dentisti, liberi professionisti in genere. Va detto forte e chiaro che molte materie prime salivano poco o niente, come ad esempio i beni agricoli, ma a noi consumatori veniva tutto aumentato spacciandocelo per “sono aumentate le materie prime”, oppure “è aumentato il costo della vita”. Ed ecco che il medico specialista, o il dentista, equiparavano subito le 100.000 lire a 100 euro. Una fenomenale massa di denaro veniva drenata dalle tasche di lavoratori dipendenti e pensionati, per finire nelle tasche di chi già possedeva una situazione migliore. Per ovviare all’aumento dei prezzi molte volte le persone cercavano il risparmio del “senta, e senza IVA?”. Ed ecco che la massa di denaro che fluiva da una parte dell’Italia verso l’altra si tingeva parzialmente di nero. Parte di quel nero veniva riversato in conti correnti, spesso esteri, dove non fanno domande, ma anche italiani perchè in quegli anni c’erano meno controlli, e parte veniva riversata sul grande amore degli italiani: il mattone.
Eh si, perchè nel 2000 il mondo intero iniziò ad andare in recessione, anche come reazione ad una spaventosa bolla speculativa dei mercati borsistici di tutto il mondo. Basti pensare che il nostro Mib30, l’indice principale di allora, toccò per ben 2 volte quota 51.000 (oggi siamo sotto 15.000). In Italia, come del resto anche in altri paesi europei, gli investitori fuggivano dalla borsa, e dove potevano investire? Nell’acquisto di immobili. Ed ecco che quella enorme massa di denaro, in parte nera ed in parte bianca, si riversò come un fiume in piena sul mercato immobiliare, dando vita ad un incremento dei prezzi degli immobili. In pochissimi anni le case raddoppiarono, in molti casi triplicarono di prezzo grazie anche alla leva dal cambio psicologico e incontrollato della lira con la nuova moneta europea (1.000 lire = 1 euro, 100 milioni = 100 mila euro).

Mandanti ed esecutori dell’impoverimento di parte della nostra società
Senza conseguenze? Ovviamente no. A parte un divario sempre maggiore in fatto di ricchezza posseduta, con una fascia di persone sempre più ricca ed una massa più numerosa di persone che cominciava a non riuscire più ad arrivare a fine mese, la fascia di persone che cercava di accedere alla prima casa veniva letteralmente massacrata: giovani coppie o singoli dovevano iniziare ad accendere mutui non più su 15 o 20 anni, ma su 30 e 40, con il risultato di un lunghissimo e pesantissimo indebitamento. E se hai un mutuo pesante da pagare… non compri più nulla, non consumi più che lo stretto necessario, insomma il tuo apporto all’economia, basata sui consumi, si riduce all’osso. Ecco dunque che la crescita economica di questo paese, che dipende da quanto le aziende producono, e dunque da quanto i cittadini consumano, non decollava. E se il Pil non decolla, ma il debito pubblico si, anche per via dell’effetto euro, il rapporto debito pubblico/Pil peggiora, passando da quel 107 del 2006-2007 al 120 di oggi. Quindi, la moneta unica ha ucciso l’Italia su commissione. Il mandante è la Germania, ma l’esecutore è lo Stato, almeno in parte, laddove non esiste una coscienza sociale e un amore di nazione che rendesse coeso il nostro popolo, che al contrario è sempre diviso e improntato al “ognuno per sè”. Ma il bello è che tutto ciò era evitabile.

Cosa si sarebbe potuto fare
Si poteva fare qualcosa nel 2002 o no? Si, si potevano mettere in piedi delle misure di controllo dei prezzi, a livello legislativo ma anche con mezzi semplici, come ad esempio l’obbligo di mostrare, per tre anni dall’introduzione dell’euro, ovunque, e ripeto ovunque, il prezzo in Lire accanto (e della stessa grandezza) al prezzo in Euro. Sanzionando i trasgressori. Ma perchè questo non fu fatto? … Fu una svista? Tecnicamente il raddoppio dei prezzi portò come conseguenza anche a un raddoppio del gettito IVA nelle casse dell’erario e questo faceva comodo allo Stato. Ma era evidente che non sarebbe durato a lungo il giochetto perché prima o poi il consumatore medio, quello che sa di avere i soldi solo se si mette le mani in tasca, si sarebbe accorto della fregatura con inevitabile crollo dei consumi. Allora perché non si mise un freno a questa speculazione sin dall’inizio? La nostra teoria è che questo “non agire” fu il frutto di un calcolo politico da parte del governo Berlusconi che si insediò nel giugno del 2001. Ma qui occorre fare qualche passo indietro. Nella seconda metà del 2000, poco prima dell’avvento dell’euro quindi, l’Italia si accingeva già ad entrare in recessione, con le aziende che mostravano i primi cali di profitto. E durante una recessione cosa fanno solitamente le persone? Non spendono, ma mettono i soldi che avanzano al sicuro, temendo tempi peggiori. Succede ovunque, ed è un fenomeno che alimenta la recessione stessa, perchè i consumatori smettono di cosnumare limitandosi allo stretto necessario, dunque le aziende devono adeguarsi smettendo di produrre come prima, devono mandare a casa lavoratori, che a loro volta non avranno più soldi da spendere. Una catena, insomma, un circolo vizioso.
Come si sarebbe potuto invertire il trend all’indomani dell’introduzione della moneta unica? Posto che il rapporto di cambio fu fissato a svantaggio dell’Italia e a favore della Germania, i governi avrebbro dovuto vigilare attentamente sui prezzi, come dicevamo prima. Si decise, invece di non intervenire, anche perché l’euro ci avrebbe messo al riparo da impennate inflazionistiche. Quindi ci avrebbe pensato l’euro, questa nuova valuta ad aggiustare le cose. Sembrava una manna piuovuta dal cielo tanto che molti ne erano divenatti euforici senza curarsi degli effetti catastrofici che avrebbe causato sul potyere d’acquisto dei consumatori. Così l’italiano benestante, lavoratore autonomo, ha subito cercato di approfittarne alzando i propri prezzi ed equiparando nella sostanza l’Euro alle 1.000 lire di prima, mentre il lavoratore dipendente si è ritrovato la busta paga dimezzata in termini reali. A tutto vantaggio delle banche che in quegli anni pompavano sul mercato immobiliare a più non posso spingendo la classe operaia a contrarre mutui in euro approfittando dei tassi di mercato relativamente bassi (ma in euro!). Un trappola che ha permesso un arricchimento sfrenato delle banche che nel frattempo avevano valorizzato a bilancio cifre doppie rispetto a quelle reali e che sarebbero state onorate dal contribuente con il doppio degli anni di lavoro, rispetto a quando c’ìera la lira. Quindi, gran parte del risparmio delle famiglie è stato eroso così come buona parte del paese si trova adesso in tale difficoltà da non poter più contribuire ai consumi se non a quelli strettamente essenziali, e dunque non si cresce.

Una guerra a colpi di spread
Quello a cui stiamo assistendo oggi nei paesi periferici dell’eurozona non è altro che una corsa dissennata a vendere titoli di stato italiani, spagnoli, portoghesi, ecc. per timore che falliscano sotto il peso del debito pubblico. E chi li compra? Guarda caso, proprio la BCE, che pur essendo un organismo indipendente, risente della gerarchia del potere europeo, che vede la Germania in testa, dunque volente o nolente la BCE è influenzata dal potere finanziario tedesco. In questo modo i forzieri delle banche tedesche, che ultimamente hanno venduto sul mercato una notevole quantità dei nostri Btp che detenevano, fanno il pieno di liquidità a una velocità che si può tranquillamente misurare con lo “spread”. Più si allarga il differenziale fra i titoli di stato italiani e tedeschi presi a riferimento, più veloce è il travaso di fondi dalle banche italiane a quelle tedesche. Del resto i soldi non si creano né si distruggono, bensì si trasferiscono all’interno dello stesso insieme di elementi, che si chiama Unione Europea. Quando la misura sarà colma la Germania (ma anche la Francia, perchè ricordiamo che le banche francesi ultimamente hanno venduto il 50% dei Btp italiani che avevano in portafoglio) darà il placet per aiutare i paesi in difficoltà stampando moneta, rendendo operativo il fondo salva stati (Efsf) e lanciando gli eurobond.

Il debito posseduto come arma di convincimento
In Grecia l’amico qquebec ha spiegato come questo fenomeno abbia comportato una sorta di colonizzazione, perchè la Grecia ha dovuto cedere per farsi aiutare, ha dovuto pagare con qualcosa il suo salvataggio. Per quanto riguarda l’Italia, invece, la situazione è più complessa. Ma abbiamo visto ad esempio alcuni fatti: uno di questi, e il più eclatante, è Parmalat, dove l’Italia ha fatto finta di scandalizzarsi, di strapparsi i capelli, ma non ha portato sino in fondo la difesa della nostra azienda. C’era – va detto – un difetto originale, ovvero l’assenza di una definizione di alcuni settori strategici, come invece ha fatto la Francia le cui aziende di inyteresse nazionale sono difese dall’acquisto da parte di gruppi stranieri. Basti ricordare GDF Suez, operante nel settore energetico, che stava per essere conquistata tramite Opa da Enel, e che venne invece difesa a spada tratta e non se ne fece più nulla. In Italia invece, governi miopi, non hanno mai messo mano ad una simile definizione limitandosi a far valere il peso della golden share, peraltro invisa da tutti a livello europeo. Quindi su Parmalat si era in difetto sin dall’inizio, ma il governo italiano avrebbe potuto tentare un salvataggio in extremis, azzardato è vero .. ma possibile. Ebbene quel tentativo non è stato fatto, e Parmalat è andata. L’Italia ha dovuto cedere, e l’arma di ricatto è stata la quantità di debito italiano in mani francesi. Perché, oggi come oggi, chi possiede il debito è sovrano, cioè comanda. Così, a breve, potrebbero finire in mani francesi anche Edison e Alitalia. E’ solo questione di tempo (e di accordi). Se la quarta guerra mondiale – come diceva Einstein – si combatterà con le pietre, forse la terza si sta già combattendo a colpi di “spread”.

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