8 nov 2011

GORGONZOLA

Questo post è dedicato a Nino.....che mi paragona il Gorgonzola al Roquefort.
Non devo certo insegnare a Lui qualcosa in campo alimentare, ma diamo qualche informazione di carattere generale.

- La denominazione "Gorgonzola" risale agli inizi del Novecento in sostituzione di quella più generica di Stracchino, o Stracchino di Gorgonzola e trae origine dall'omonima città lombarda, Gorgonzola.


Il Gorgonzola è un formaggio a Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.), riconosciuto dall'Unione Europea e registrato nella lista dei prodotti D.O.P. con Reg. CEE n.1107/96.

La Denominazione di Origine Protetta si può considerare il massimo riconoscimento ufficiale che possa essere assegnato dalla Nazione e dalla Comunità Europea ad un prodotto alimentare.

Nel 1970 è stato istituito il Consorzio per la tutela del Formaggio Gorgonzola, il cui disciplinare stabilisce precise regole di produzione e delimita l'area geografica di provenienza del latte utilizzato.

Oggi sono due le regioni italiane in cui è possibile la produzione di Gorgonzola:
il Piemonte con sette province (Novara, Vercelli, Cuneo, Biella, Verbano-Cusio-Ossola e alcune zone delle province di Alessandria) e
la Lombardia con otto province (Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Pavia e Varese).

Il disciplinare prevede anche che ogni forma sia marchiata all'origine, che riporti l'indicazione del produttore e che sia avvolta in fogli di alluminio sui cui è stampata in rilievo la lettera "g" (simbolo del Consorzio).

- il Gim, della Invernizzi, è palese, non è più il Gim di una volta. Ora ci sono i franciosi della Lactalis ed è un prodotto industriale ;
 
- questo lo trovo un ottimo prodotto (ancora industriale, ma un pochino meno) :
Ercole Santi nacque l'11 novembre 1867 a Sannazzaro Dè Burgundi, nella Bassa Lomellina. A 11 anni dovette apprendere un mestiere. Come volevano le consuetudini locali lasciò la famiglia e venne accolto in una masseria tra Vigevano e Mortara, dove apprese l'arte del casaro. Il lavoro appassionava Ercole, che fu assunto presso una latteria alle porte di Novara, dove imparò a "produrre" il Gorgonzola. Ercole si sposò nel 1898 e diventò padre di Luigi Santi, che sin da giovanissimo iniziò a lavorare, passando da un caseificio all'altro, assieme al padre, che gli trasmetteva l'esperienza consolidata nel mestiere. Nel 1930 Luigi Santi fondò una società di stagionatura del Gorgonzola. La qualità del formaggio raggiunse ottimi risultati, Luigi Santi istruì a sua volta il figlio Ercole (omonimo del nonno), con il quale volle assumersi la responsabilità dell'intero ciclo produttivo del Gorgonzola. Il giovane Ercole Santi, forte di un'esperienza iniziata durante le pause scolastiche e di una conoscenza maturata presso l'Istituto Lattiero Caseario di Lodi, avviò il caseificio di Oleggio (1964), prima unità produttiva del Gorgonzola Santi Quattrorose, quello di Garbagna Novarese e, nel 1980 quello di Cameri, attualmente sede principale del gruppo SANTI & C 1898.

- questo è fodamentale :
Per il tipo dolce la stagionatura si completa tra i 75/90 giorni circa, per il tipo piccante è più lunga, da un minimo di 90 giorni fino a 150 giorni circa.



- questo è quello che si deve sapere :
Uno dei formaggi onde la Valsassina andò famosa in tutta Europa, ed anche «over seas», oltre gli oceani, è stato il Gorgonzola, del quale è tipico l'aspetto, una volta che sia tagliato e stimolante tanto da far venire l'acquolina in bocca al solo sentirne il profumo. Le forme erano preparate dai «produttori» nella caratteristica sagoma di un cilindro, del diametro di centimetri 28 e dell'altezza di circa cent. 14 del peso di 10 chili circa. Il produttore vendeva le «gorgonzole» (così da noi e in Lombardia erano chiamate) allo stagionatore, il quale, dopo averle sottoposte alla salatura ed alla perforazione, mediante grossi aghi di ottone (che non arrugginisce) le collocava nelle «casere» (famose grotte formatesi in Valsassina attraverso i secoli, nelle viscere delle montagne), dove, in un ambiente relativamente freddo (temperatura costante sui 5/7 gradi circa) con un certo tasso di umidità, erano tenute a stagionare. Esse cioè subivano uno speciale processo di fermentazione naturale, per il quale la «cagliata» originaria «maturava» diventando sàpida e leggermente piccante, mentre i batteri naturali penetrati nelle forme attraverso i buchi provocavano la cosiddetta «erborinatura». Dopo tre mesi all'incirca, il formaggio si presentava al taglio con un colore leggermente avorio, maculato quà e là di strisce verdoline, anzi color del prezzemolo, donde appunto il nome di «erborinatura».


Ho detto che il «Gorgonzola» era famoso non soltanto in Italia, ma anche all'Estero, tanto è vero che le più importanti ditte lecchesi di stagionatura dell'epoca, avevano istituito filiali a Londra, un mercato di grande consumo di questo caratteristico formaggio, che assorbiva oltre il cinquanta per cento della nostra produzione.

La ditta Mattia Locatelli, inoltre, aveva fondato una filiale addirittura a Nuova York, acquistando nella centralissima via un caseggiato, per non esser costretta a prenderne uno in affitto.

Quell'antico procedimento è stato abbandonato «quasi del tutto». Qualche cosa si fa ancora in Valsassina all'uso antico, ma si tratta di una produzione minima, fatta per soddisfare le esigenze dei «palati» sopraffini, che non sono molti, mentre sono moltissimi coloro che mangiano formaggi senza nessuna conoscenza di essi, ignorando come e quando vanno mangiati. Ingollano insomma qualunque cosa venga loro propinata, perchè tanto non ne capiscono nulla.

Il 90 per cento della produzione delle «Gorgonzole» è ottenuta nella Bassa Lombardia, dove il latte (materia prima essenziale, per qualsiasi tipo di formaggio) è abbondante e dove sono stati impiantati nell'ultimo quarantennio giganteschi frigoriferi, nei quali opera la stagionatura. Sono state le esigenze di natura economica a provocare questa trasformazione. Nella «casera» della Valsassina occorrevano tre mesi o poco più per una stagionatura perfetta. Nei frigoriferi della Bassa Lombardia bastano quaranta giorni. Ognuno capisce che gli stagionatori di un tempo, posto che avessero in «casera» forme per il valore di un milione, impegnavano tale capitale, senza poterne ricavare un reddito soddisfacente, per novanta o cento giorni. Oggi, invece, dopo soli quaranta giorni riescono a smobilizzare il capitale investito. Se calcolate che una grossa ditta ha, per ipotesi, un centinaio di milioni così investiti, capite subito come oggi possa essere rapidamente reintegrato il suo capitale circolante.




Naturalmente, il gorgonzola di oggi è buono ma è poco piccante si presenta molto bene (fu per legge statuale vietato l'uso della scorza di baritina, che veniva impiegata un tempo per la protezione del formaggio) è saporito; ma non ha più quel «quid» di superiore aroma, di quello d'allora.


La vera «morte» del gorgonzola è di mangiarlo con la polenta appena sfornata sul tagliere. Errore, grosso errore, è mangiarlo alla fine del pasto. Almeno cosi fanno i buongustai, che ripeto non sono molti. La massa dei consumatori è totalmente incompetente e lo mangia nelle maniere più sbagliate.

- Il gorgonzola di altri tempi. Gli Italiani, soprattutto quelli della Val Padana, sono convinti d'essere sempre degli intenditori di formaggio gorgonzola, come lo furono i loro padri. I dati statistici lo confermerebbero. Delle 300 mila forme - peso medio 10 chili - prodotte ogni settimana nel centinaio di caseifici piemontesi e lombardi, moltissime vengono consumate in loco, da clienti affezionati al «prodotto». Ma si tratta proprio di gorgonzola?


Come spesso capita, noi italiani eravamo convinti che quel formaggio fosse nostra geniale scoperta esclusiva. In realtà, lo stracchino di Gorgonzola (tale il nome originario e completo) si inserì, probabilmente dopo gli altri, nella grande famiglia europea dei caci contaminati da una «nobile muffa», quella dovuta al penicillum glaucum; «classe» comprendente i francesi Roquefort (di latte di pecora) e tutta la dinastia del blues (di Bresse, d'Auvergne, Gex, Sassenage, Septmoncel) e altri di latte vaccino, lo stilton in Gran Bretagna, e, oggi nostri notevoli concorrenti, lo scandinavo danablu e tedesco bergader.

La storiella risalirebbe agli ultimi secoli, quando Gorgonzola era, in autunno, il centro di raccolta delle mandrie dei «bergamini» che avevano passato l'estate in montagna. Era nel paesetto lombardo che i nostri allevatori, prima di tornare a casa, preparavano, col latte delle mucche stanche (vale a dire stracche) lo stracchino. E fu nella cantina di una trattoria che il formaggio, fermentando, fu invaso da quello che i lombardi chiamarono erborinn, prezzemolo: ancora oggi, essi definiscono infatti il gorgonzola «formaggio erborinato» in parallelo con il persillé francese.

«Quel gorgonzola - dicono i dirigenti del Consorzio fra produttori e stagionatori, istituito nel 1970, e che dal marzo 1975 è autorizzato a marchiare le forme - aveva caratteristiche sue. Era un formaggio di latte parzialmente scremato, lo si otteneva miscelando due cagliate ottenute in ore diverse, e il «verde» si diffondeva spontaneamente. Maturazione lunga, almeno 90 giorni, muffa di colore scuro, pasta gessosa, sapore e odore forti e decisi. Tutte cose che oggi, alla gente, non piacciono più. Si cercano formaggi dolci, grassi, con pochissime venature, maturazione rapida; quindi si lavora latte intero, con penicilli selezionati, forniti dal Centro sperimentale del latte. A noi va benissimo. Contro decine di migliaia di forme dolci, se ne fanno pochissime di «naturale», proprio per qualche intenditore che si ostina a chiederlo».

Il nuovo gorgonzola ha, quindi, ben poco di comune con l'antico.

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