6 ott 2010

Un po' di Storia

Il primo insediamento umano nel lecchese risale intorno al 2500 a.C. con delle abitazioni a palafitta nel quartiere di Pescarenico.

Poco prima dell’anno 1000 a.C. alcune popolazioni di Galli e Celti emigrarono nel territorio lecchese per motivi di commercio. Ai Celti si richiamano alcuni toponimi locali, vedi il caso della radice bar e della scoperte della città di barra, situata sul monte Barro. Anche lo stesso nome Lecco deriva molto probabilmente dal celtico Leuki, oppure dai vocaboli indoeuropei Locas, che significa campo, o Locus , che significa paese. I Celti furono un popolo evoluto e colto, che conosceva avanzate tecniche agricole, che costruì città e coniò monete, che ebbe una spiritualità molto elevata, legata al mondo della natura e delle forze cosmiche, e un grande senso dell'onore e della libertà, ed anche una civiltà che ci ha lasciato numerose testimonianze di grande abilità artistica: armi gioielli di pregevole fattura.
Dopo la dominazione Celtica fu la volta di quella Romana che avvenne intorno al 196 a.C.: le terre del lario si arricchirono di ville patrizie. Il nome Lario deriva infatti dagli antichi romani, che lo chiamarono Larios Lacus Comancinus, o anche Lago Giardino. Giulio Cesare, ritornando vittorioso dalla Gallia, si fermò a Lecco e concesse agli abitanti del territorio la “cittadinanza romana”, elevando il borgo di Lecco a “Municipio di Roma”. Lecco era divisa in villaggi raggruppati intorno al borgo principale, però, benchè ciascun villaggio ricevesse un solo nome, al territorio rimase sempre il nome collettivo di “Leucum”, a significare un complesso di abitazioni ordinati sotto un governo comune. Dei Greci dell’Italia meridionale vennero mandati come coloni fra noi e ad essi risalgono alcuni nomi di località del lago, come Dervio o Corenno.

Nell’età imperiale abbiamo molte testimonianze della vita Romana, che conservava però forti tradizioni celtiche. Lecco era probabilmente centro di un distretto militare per la difesa del lago di Como. Da Lecco o dal suo territorio passava una grande strada militare, proveniente da Aquilea e diretta alle Alpi. Essa varcava l’Adda a sud di Lecco sul ponte di Olginate, di cui restano cinque piloni semi sommersi dall’acqua.

Tra il 489 ed il 493 d.C. fu la volta degli Ostrogoti. Tra il 535 ed il 553 il lecchese venne interessato dalla spaventosa guerra greco – gotica e dalle devastanti orde barbariche.

Dopo un breve periodo di pace, durato solo sedici anni, i Bizantini, vincitori sugli Ostrogoti, vennero attaccati da un nuovo e più forte popolo barbarico: i Longobardi.

Nel maggio del 569 d.C. essi assaltarono il castello di Lecco, chiamato anche castello bianco a causa del pietrame bianco con cui era costruito, i bizantini opposero una forte resistenza, ma nonostante tutto il territorio passò nelle mani dei Longobardi e fu diviso in ducati e iudiciarie. I Longobardi non si occuparono solo di questioni militari, ma col sistema delle corti favorirono lo sviluppo agricolo della campagna.

Un personaggio molto importante di quel periodo fu la regina Teodolinda, che divenne un mitico personaggio benefico a cui attribuire il merito di quasi tutte le buone iniziative dei secoli di dominazione Longobarda.

Tra la fine del V e l’inizio del VI secolo iniziarono a formarsi i primi nuclei cristiani, attestati dai vari ritrovamenti di lapidi a S. Stefano e di capselle a Garlate. Nel secolo seguente i Longobardi ariani giunsero a sconvolgere le appena costituite comunità cristiane di fedeltà romana e, solo verso il VII secolo, si assiste a un ritorno dell’ortodossia, anche in seguito all’invio di missionari del pontefice romano.
Nell’800 il dominio Longobardo declinò con la sconfitta del re Desiderio da parte dei Franchi.

Anche se l’impero Carolingio ebbe breva durata, dall’800 all’887, il sistema feudale che si sviluppò in quegli anni caratterizzerò il periodo del così detto Regno Italico che va dalla deposizione di Carlo il Grosso all’incoronazione di Ottone I° di Savoia.

In questo periodo i Vassalli italiani acquistarono un grande potere, formando il “comitato di Lecco”. Una delle maggiori famiglie feudali fu proprio quella dei Conti di Lecco che, per un certo periodo, furono a capo di tutta la Marca Settentrionale o Lombardo – Emilia.

Intorno al X secolo, in seguito a una rivolta delle famiglie comitali contro l’imperatore Ottone I a favore del re Berengario, subito soffocate, la corte di Lecco passò nelle mani dell’arcivescovo di Milano.

Nel 1117 scoppiò una guerra che, nei dieci anni della sua durata, coinvolse tutti i paesi del lago di Como e Lugano contro Milano. I Lecchesi presero parte allo scontro nel 1225, con una flotta di 30 navi con la quale assediarono Como e incendiarono parte della città avversaria.

Intorno al 1400 Lecco era al centro di diverse contese tra i signori di Milano, i Visconti, e i signori di Bergamo e Brescia, i Malatesta. Di queste dispute si hanno molte prove, ma la più importante e la più vicina a noi è depositata nell’archivio della parrocchia di Acquate. Questa è una pergamena contenente un atto notarile steso da Petrus de Testis il 17 maggio 1417 per memoria della consacrazione dell’altare maggiore nella chiesa dei Santi Giorgio ed Egidio e della contemporanea riconciliazione della stessa chiesa d’Acquate e dell’annesso cimitero. L’altare era stato spostato in avanti di due braccia e arricchito di molte reliquie, tra le quali un po’ di incenso dei Magi. Fra i testimoni presenti alla cerimonia è indicato Antonius de Capellis de Placentia potestas Leuci quale rappresentante di Pandolfo Malatesta signore di Brescia, Bergamo e Lecco. Questo è forse l’unico documento che si conservi nel quale Malatesta è dichiarato signore di Lecco. Queste contese erano un continuo avvicendarsi di riconquiste e perdite del borgo e della rocca di Lecco, e di continue alleanze soprattutto con la Repubblica Veneta, con assedi che duravano anche parecchi mesi. Il principale contendente di queste dispute nei confronti del Malatesta, era il prode capitano Francesco Carmagnola mandato dai signori Visconti. Un altro documento che riporta la testimonianza del dominio Malatestiano risiede nei Codici Malatestiani, conservati tuttora negli Archivi di Stato, dove si trova un’annotazione sul ponte di Lecco e il castello sopra di esso, in cui si legge che nel marzo del 1409 questi venivano venduti al comune di Bergamo per la somma di lire mille. Di questo acquisto da parte di Pandolfo Malatesta non si sono trovate spiegazioni, sembra però che l’interesse era soprattutto per il castello sopra il ponte. Molte di queste battaglie avvenivano anche sul lago, infatti si trovano in vari archivi (tra cui i codici malatestiani) molte annotazioni di richieste di materiali e manodopera per riparazioni a costruzioni di nuove imbarcazioni. Uno di questi dice: "Item per spese sostenute da lui fatte per mandato del Magnifico ed eccellentissimo signore il signor nostro su proposta del signor Bartolomeo de Bagarotis nell’anno 1418, e precisamente: a ser Pietro Amelongo per un conto relativo a certe bombarde; per la riparazione di una nave grande; per 39 brente; per chiodi forniti per la suddetta nave".

Numerosi erano allora i tipi di imbarcazione da guerra: brigantini, scorabiesse, barbote, ganzezze. Quest’ultime erano molto veloci nella navigazione, superavano le scorabisce, navi lunghe e rostrate, come pure superavano le barbotte, navi di maggiore capacità. Altri tipi erano le navette, i burchielli, le barchette, le navi grandi, le navi con ponti, i redeguardi, i redeguardi grandi e i galeoni.Alcune navi da guerra portavano fino a 600 uomini. I costruttori Lariani erano molto richiesti per la loro maestria, anche all’estero.

Nel 1512 nasce il patto di Teglio, seguito alla pace di Lodi che strappava a Milano la Valtellina, insinuandola nella signoria dei Grigioni.

Il Capitano di ventura Gian Giacomo dé Medici, che riordinò la fortezza di Lecco, s’impadronì del luogo, coniò delle nuove monete con la sua effige con l’inscrizione conte di Lecco. Tutto questo lo fece contro il volere dell’imperatore Carlo V, il quale s’era impegnato a restituire a Francesco Sforza l’antico ducato di Milano. L’accordo che concluse in un primo tempo la contesa fra l’Imperatore e Gian Giacomo, soprannominato il Medeghino, prevedeva che al Medici restassero Lecco, la Valsassina e le tre pievi. Ma nel 1532, in seguito alle guerriglie successive, gli intrighi, le congiure, le alleanze, i tradimenti nella grande lotta di predominio sull’Italia tra Francia e Spagna, gli fu imposta la sua rinuncia ai territori di Lecco.

Passata sotto la dominazione degli Sforza, in seguito alla morte di Francesco II rimasto senza eredi, Lecco fu ridotta in proprietà da Carlo V, salutato vincitore: Lecco, sotto gli Spagnoli, con i forti di Fuentes e di Trezzo, diventa caposaldo della difesa nord-orientale del milanese.

Nel 1609 il conte di Fuentes restaurò il ponte distrutto dal Medeghino su undici archi, per complessivi 131 metri


Poi vi fu l'invasione dei Lanzichenecchi, guidata da Rambaldo di Collalto, avvenuta nel 1628. Erano circa 36.000 e dove passavano distruggevano tutto e rubavano. Si fermarono soprattutto nella zona ora rione di Olate e li lasciarono la terribile malattia della peste, spentasi solo nel 1631. Questa famosa epidemia, che fece orrenda strage, fu descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi . Dei 4.000 abitanti circa del territorio lecchese, dominato allora dagli Spagnoli, ne morirono oltre 500. Gli ammalati di peste venivano curati nel Lazzaretto, un recinto con tante baracche di legna , che si trovava dove ora sorge l'ex caserma dei militari, località che ancora oggi viene chiamata comunemente "Lazzaretto". Più tardi i Francesi occuparono la Valtellina, minacciando Lecco dall’alto lago, ma si opposero concordi Milanesi e Spagnoli.
Nel 1700 ha fine la dominazione spagnola e Lecco, travolta nella contesa austro - francese - russa per il dominio della Lombardia, è coinvolta nelle tre guerre successive, spagnola, polacca, ed austriaca.

Il 16 aprile 1704 passa da Lecco il marchese Davia, che occupa il castello di Fuentes in nome dei Tedeschi minacciati da Francesi e Spagnoli.

Nel 1746 la dominazione austriaca è ormai definitiva nel territorio lecchese; l’imperatrice Maria Teresa si pone a capo delle pievi di Bellano, Mandello, Varenna, e Valsassina il comune di Lecco.
Fra il 1773 e il 1777, il governo Austriaco fa costruire il canale di Paderno, con grande incremento commerciale tra il Lario e Milano, con il massimo beneficio a Lecco. Pochi anni più tardi, l’imperatore Giuseppe II visita, il 24 giugno 1784, la città di Lecco egli ordina la soppressione del capitolo parrocchiale del convento di San Giacomo in Castello. L’Austria cerca di opporsi all’invasione francese, il governo imperial regio indice una pubblica sottoscrizione, ma Lecco avrebbe risposto alle sollecitazioni della corte di Vienna.

Con la discesa di Napoleone e la formazione, nel 1797, della Repubblica Cisalpina, la "Riviera di Lecco" viene a far parte del dipartimento della Montagna che comprendeva 170.000 abitanti e godeva del diritto d’inviare dodici rappresentanti al corpo legislativo. Tuttavia anche la dominazione francese non è accolta senza opposizioni: una donna, di notte, sega ed abbate l’albero della libertà che i francesi avevano alzato come loro consuetudine.

Alleatasi alla Russia durante la campagna napoleonica in Egitto, l'Austria batte i Francesi a Trezzo sull'Adda, a Cassago d'Adda e quindi a Verderio. A Lecco viene minato il ponte visconteo e uno scontro tra austro-russi e francesi ha luogo tra il 25 e il 26 aprile 1799, con la vittoria dei francesi.
Lo scontro è ricordato anche da un stampa conservata al museo del Risorgimento di Milano, ma con una datazione erronea e l'episodio è stato tramandato da una lapide posta in una casa a Pescarenico, sui muri della quale, fino a pochi decenni or sono, erano visibili i segni delle granate e dei proiettili francesi.

Lecco è ripresa dai Francesi il 6 giugno 1800. Nella corrispondenza di Napoleone col vicerè d’Italia appare quanta importanza egli annettesse alla posizione a al mantenimento di questa testa di ponte, che raccomandava vivamente, da Parigi, di fortificare.

Nel 1808, quando viene costituito da parte del Regno Italico il Consiglio delle Miniere, la zona del Lario viene terza nell'estrazione e lavorazione del ferro, con una cavatura di 2.000 tonnellate di minerale, otto altiforni e una cinquantina di fabbriche.

Nel 1814 l’esercito austriaco riprende possesso del territori, sopprimendo il tribunale e le giudicature; nel 1815 Lecco è capoluogo d’un distretto austriaco.

Come ad ogni invasione, la miseria e il colera si diffondono per tutto il Lecchese, raggiungendo una punta massima nel 1817. Ma la reazione degli abitanti è degna d'un popolo forte: alla malattia e alle condizioni economiche disastrate essi risposero con l'ampliamento delle loro industrie.

Nel 1847 i Lecchesi danno l'assalto alle imbarcazioni dirette verso l'alto lago a portare, nel Canton dei Grigioni, lo scarso grano raccolto nei territori, grano peraltro insufficiente al bisogno della popolazione. L'esempio viene seguito dagli abitanti di Malgrate e di Parè, nonchè da quelli di Olginate, i quali vedevano nella spedizione del grano oltre confine una manovra speculativa del governo austriaco e, contemporaneamente, un tentativo di sedare con la fame il malcontento contro il governo imperiale. Alla notizia dell'insurrezione di Milano, il 18 Marzo 1848, i cittadini d'ogni classe offrono denaro, vengono raccolte 32.000 lire, si formano schiere di volontari.

Le officine Badoni e Cima di Castello offrono due cannoni alla causa Italiana. Il 20 Marzo il presidio austriaco è disarmato, il 21 i Lecchesi partecipano ai combattimenti per la liberazione di Monza e proseguono per Milano, attaccando gli austriaci al Dazio e combattendo le ultime due delle "Cinque giornate di Milano", a fianco dei Milanesi insorti.

Nell'Agosto del 1848, ritornati a Lecco gli austriaci, i Lecchesi seppellirono sotto il letto della fiumicella il tricolore che avevano fatto sventolare combattendo a Monza e Milano, e la bandiera verrà dissotterrata in anni migliori, quando Lecco offrirà, alle successive guerre d'indipendenza, alle spedizioni garibaldine, ai moti mazziniani, i suoi figli più ardimentosi. Di questi i più famosi furono i fratelli Torri Tarelli che combatterono con Garibaldi nelle guerre del 1848 e del 1859: Carlo a Mentana, Battista combattè a Varese- Tommaso nella guerra del 1859, Giovanni morì nelle acque del lago mentre recava armi a Milano e Giuseppe morì a Palermo durante la spedizione dei "Mille" in Sicilia.

Nel 1859, padrone ormai del lago, Garibaldi scese da Como con i vapori verso Lecco. Tutte le insegne austriache erano sparite ed innalzati al loro posto i tricolori. Verso le 10 del mattino del 10 giugno 1859 Garibaldi giungeva all’altezza di Mandello: uno sciame di barche piene di gente festosa si staccò dalle rive e circondarono i battelli dei Garibaldini. Dopo mezz’ora di sosta, la navigazione fu ripresa e verso mezzogiorno i Cacciatori delle Alpi entravano in Lecco. La municipalità Lecchese emise un proclama di cui si conserva il prezioso autografo.

Garibaldi a Lecco dal balcone dell’Albergo Croce di Malta, fece un breve discorso, di cui purtroppo non ci rimane il testo originale. Alla sera riprese immediatamente la strada incamminandosi verso la terra bergamasca, dopo aver provveduto a far fortificare, con lavori di terra e fascine, il rione di Chiuso, e lasciando un piccolo presidio armato. Tutte le testimonianze sono concordi nell’affermare che il passaggio di Garibaldi a Lecco fu caratterizzato da manifestazioni eccezionali di entusiasmo e gioia.

Garibaldi fece ancora due soste a Lecco, esattamente il 9 giugno 1859 proveniente da Pontida per recarsi a Milano, e il 26 giugno, quando pernottò a Lecco ospite dell’Albergo Croce di Malta. La mattina dopo, coi piroscafi, i Cacciatori delle Alpi raggiunsero Colico, ove incominciarono la marcia verso la Valtellina.

tratto da : http://www.scoprilecco.it/


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