La spallata al centrosinistra, promessa da Matteo Salvini, è riuscita a
metà. Benissimo in Calabria, meno bene in Emilia-Romagna.
Per quanto sottoposta a un fuoco di fila potente, la roccaforte rossa ha retto l’urto.
Stefano Bonaccini ha vinto sulla competitor di destra Lucia Borgonzoni.
Non bisogna nascondersi dietro un dito: la delusione per un mancato risultato che avrebbe cambiato la storia del Paese c’è.
Tuttavia, non è giustificabile passare da un eccessivo entusiasmo costruito su una speranza a un crollo emotivo autolesionista.
Perché l’Emilia-Romagna non è il Paese. E poi, non si dimentichi che la Calabria è ancora Italia e
non si comprende perché non si debba dare altrettanto peso al voto in quella regione.
Non riusciamo a comprendere l’euforia, al limite dell’isterismo, che
ha contagiato politici e analisti in forza al campo progressista.
In un successivo momento commenteremo i dati numerici esatti del voto di ieri.
A spanne, emergono da una prima considerazione almeno tre elementi che
dovrebbero indurre tutti a maggiore cautela nell’analisi degli risultati
della domenica elettorale.
In primo luogo, l’enfatizzata sconfitta di Salvini in Emilia-Romagna non è stata tale.
La destra plurale ha raccolto un consenso di lista che supera in 45
per cento, in un’elezione dove l’astensionismo non l’ha fatta da
padrone.
Se si considera che il Partito Democratico, alle stesse elezioni regionali raccoglieva un consenso del 40,65 per
cento contro una Lega al 13,68 per cento, la candidata del centrodestra dell’epoca, Anna Maria Bernini, non andava oltre il 36,73 per cento, vedere oggi la Lega al 31,93 per cento, mentre il Partito Democratico è al 34,70 per cento e la candidata Lucia Borgonzoni raccogliere il 43,62 per cento, non si può non cogliere il segno di un processo di cambiamento profondo nella cultura e nel sentire degli emiliano-romagnoli.
In secondo luogo, la campagna elettorale fortemente polarizzante
condotta da Matteo Salvini ha sortito l’effetto positivo di richiamare
gli elettori alle urne.
Poco importa che i cittadini siano andati ai seggi per appoggiare l’assalto al cielo di Salvini o per impedirlo a ogni costo.
Alle Regionali del 2014 dell’Emilia-Romagna votò soltanto il 37,71 per
cento degli aventi diritto: una sconfitta per la democrazia.
Ieri l’affluenza ha superato di poco quella per le Europee dello scorso anno attestandosi al 67,67 per cento.
Non è forse questa una buona notizia di cui si dovrebbe dire grazie anche alle improvvide citofonate del leader leghista?
In terzo luogo, la polarizzazione ha riportato sul giusto binario della
dialettica democratica il confronto tra una destra e una sinistra
chiaramente connotate.
Il fenomeno distorcente del falso terzo polo costituito dai Cinque Stelle, che ha alterato gli equilibri consolidati del bipolarismo italiano, è letteralmente scomparso.
Non bisogna sottovalutare il crollo verticale dei grillini, sia in Emilia-Romagna sia in Calabria.
È questo il dato sul quale sarebbe opportuno soffermarsi perché non può non sortire ricadute sulla tenuta del MoVimento nel suo complesso.
Mettiamola così: a Salvini non sarà riuscita la spallata perché il sistema-Emilia ha retto, ma una bomba a tempo il leader della Lega è riuscita a piazzarla nel cuore della maggioranza di governo.
Alla luce degli ultimi risultati, siamo nell’inedita situazione che in Parlamento e al Governo c’è una forza maggioritaria che non esiste quasi più nel Paese.
Qualcuno dalle parti del Quirinale dovrebbe porsi la domanda se e per quanto tempo un tale scenario sia sostenibile.
Ma a rendere superfluo il punto di vista del Colle potrebbe intervenire la subitanea implosione del Cinque Stelle.
Bisogna capirli, i poveri grillini. Hanno fatto un tratto di strada al
governo con la Lega lasciando sul campo metà dei consensi ricevuti alle
politiche del 2018.
Da settembre si sono aggrappati alla sinistra nella speranza di restare a
galla e invece sono stati spianati, in successione, in Umbria, in
Calabria e in Emilia-Romagna.
I numeri in queste ultime due regioni li danno, come lista, rispettivamente al 6,22 per cento e al 4,74 per cento.
Si tratta di un trend che porta alla graduale scomparsa del Movimento dalla scena politica nazionale.
Ora, tra i grillini che attualmente siedono in Parlamento scoppierà la sindrome del si-salvi-chi-può.
Non sono pochi i “peones” pentastellati che non puntano semplicemente a
terminare indenni la legislatura ma ambirebbero ad avere un futuro, e un
reddito sicuro, in politica.
Se alla Camera dei deputati la maggioranza gode di numeri sufficientemente ampi, al Senato invece si corre sul filo del rasoio.
Domanda: è tanto assurdo immaginare di trovare tre o quattro senatori grillini che da oggi, guardandosi allo specchio, si chiedano chi glielo faccia fare di restare su una barca che affonda
mentre trasbordando su un transatlantico battente bandiera della destra potrebbero salvarsi prolungando di almeno un’altra legislatura la permanenza nelle istituzioni?
Parafrasando una pubblicità in voga alcuni anni orsono: una telefonata a Matteo Salvini, o a Giorgia Meloni, potrebbe allungargli la vita.
A questi tre elementi percepibili ictu oculi se ne aggiungono altri che meritano approfondimenti.
Qual è stato l’impatto delle “Sardine” sulla vittoria di Stefano Bonaccini?
Come valuterà Matteo Renzi il risultato elettorale tenendo conto che una ritrovata centralità egemonica del Pd nel campo progressista taglia le gambe al suo tentativo di destrutturazione della sinistra in
vista di una ricostruzione in chiave bleariana e macroniana del campo
progressista,che è il nocciolo della strategia corsara del fu “rottamatore”?
II crollo di Forza Italia nel voto emiliano-romagnolo come va interpretato?
È un incidente di percorso o il segnale di un ciclo politico esaurito
con la trasmigrazione dei liberali in altri contenitori, come ad esempio
quello neo-conservatore di Fratelli d’Italia?
Il partito di Giorgia Meloni, non a caso, cresce nei consensi in un
rapporto con l’alleato forzista che rimanda alla logica dei vasi
comunicanti.
E, in ultimo, il mancato sfondamento in Emilia-Romagna porterà a un
ripensamento della strategia comunicativa imposta da Matteo Salvini
o le prossime tornate elettorali verranno scandite dai medesimi toni uditi in questo test?
Domande che chiedono risposte, risposte che sollecitano ragionamenti. È la politica, bellezza!
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