Va bene, adesso ritorniamo sul Pianeta Terra e rimettiamo le cose al loro posto:
nessuno poteva realisticamente immaginare che il centrodestra arrivasse a vincere le elezioni in Emilia-Romagna,
nemmeno lo stesso Matteo Salvini.
Ovviamente il leader leghista, abituato a giocarsela da kamikaze, ha ostentato baldanza per tutta la durata della campagna elettorale pensando così di innescare un effetto di trascinamento dell’elettorato. È rischioso come metodo? Molto, ma a volte funziona.
In caso contrario, gli avversari te lo rinfacceranno per una settimana e poi si stancheranno.
La logica però, a ben vedere, in parte ha funzionato visto che, mentre
nel 2014 era finita 49 per cento per la sinistra e 29 per cento per il
centrodestra,questa volta è finita 51 a 43 per cento.
La partita è stata aperta fino alla fine portando il partito di Salvini
ad essere il secondo in termini di voti.
La qual cosa non è proprio
trascurabile.
In secondo luogo, il fatto che la classe dirigente del Partito Democratico non si sia fatta vedere in regione per tutta la durata della campagna elettorale (facendo addirittura sparire i loghi di partito dai manifesti) e demandando alle Sardine – il vuoto che avanza –la gestione dell’intera propaganda, la dice lunga sulla strizza che Stefano Bonaccini e compagni hanno avuto in questi mesi.
Faceva tenerezza Nicola Zingaretti domenica: tutto sudato ed
eccitato, esultava manco il Pd avesse vinto il mondiale di calcio del
2006.
Suvvia, si trattava della “rossa Emilia”, vincere era quasi un dovere.
La vittoria di Salvini sta proprio nel non aver permesso alla sinistra di considerare la vittoria una cosa scontata. Ed oggettivamente di più non poteva.
Altra manovra rischiosa, puramente voluta, è stata quella di trasformare una elezione locale in un referendum nazionale sull’Esecutivo:
una forzatura a livello costituzionale e politico necessaria però a trasformare un voto “ideologico” (in Emilia si vota a sinistra a prescindere) in un voto di opinione.
Ovviamente non è bastato, ma qualche effetto lo ha prodotto in termini di contendibilità dell’elettorato.
Nessuno – tranne Massimo D’Alema nel 2000 – si è mai dimesso dopo aver perso le Regionali.
Adesso ovviamente si è scatenato il pollaio, una sorta di cortina fumogena sulla scorta della quale
la Lega sarebbe morta in ragione della sconfitta in
Emilia-Romagna e il centrosinistra avrebbe tenuto arginando la
pericolosa “fifa verde”.
Il dato reale – se vogliamo dare una dimensione nazionale alla vicenda – è l’annientamento dei grillini che da Cinque Stelle diventano ostello della gioventù.
I Pentastar hanno perso tutte le elezioni celebratesi dal 2018 ad oggi
passando dal trentaquattro per cento al sette per cento scarso.
Eppure in Parlamento quello grillino è il gruppo più numeroso ed
influente nonostante, dati alla mano, ciò non corrisponda vistosamente
alla realtà fattuale
Quando avrà smesso di muovere l’aria, magari sarebbe ora che la
politica, in special modo quella che alberga sui Colli, quelli alti,
facesse un ragionamento serio.
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