Quotidianamente ci viene ripetuto che ciò che non va dell’Italia è il suo modello di vita,
il suo sistema educativo e di sviluppo,
in generale la mentalità del popolo italiano.
Per cambiare gli aspetti peculiari del cosiddetto Belpaese,
l’Unione europea chiede che la classe dirigente possa varare riforme epocali:
che cambino abitudini, consuetudini e tradizioni dell’intero popolo italiano.
Ma l’Ue non è un soggetto avulso dal contesto globale,
sappiamo bene quanto operi richieste in base ad input dell’Onu, del Fondo monetario, della Banca mondiale...
Questi ultimi hanno posto al Pianeta degli obiettivi,
riassunti nella nota Agenda Onu 2030 che, per cambiare la mentalità dei popoli,
s’è anche affidata a messaggi pubblicitari molto semplici e di grande impatto:
come il confronto tra l’evidente sorriso felice di chi vive in una bidonville
ed il volto crucciato dell’uomo occidentale, totalmente assorbito dalla preoccupazione (anzi incubo)
di difendere i propri beni, i propri risparmi, il proprio tenore di vita
e, soprattutto, di non voler rinunciare ad un lavoro di successo, appagante e ben remunerato.
Abbandoniamo per un attimo la visione planetaria e caliamoci in quella italiana:
il popolo del Belpaese risulterebbe sia a livello europeo che mondiale
all’ultimo posto per capacità di recepire la filosofia degli obiettivi dell’Agenda 2030,
ovvero quel cambio di mentalità che porterebbe gli italiani a non optare più per la proprietà (od anche possesso) di un bene ma a ritenere che ogni cosa materiale venga momentaneamente prestata all’uomo.
Questo cambio di mentalità l’Ue reputa sia un germe già presente nelle nuove generazioni europee ed italiane:
ovvero per la maggior parte dei giovani non sarebbe più importante finalizzare lo studio al futuro successo, ad un lavoro ben pagato e di forte affermazione sociale: poi non
riterrebbero più importante avere una casa di proprietà o accumulare
risparmi.
Secondo l’Onu e l’Ue, i giovani tra i quindici ed i vent’anni sarebbero ben rappresentati da quella pubblicità dell’Agenda 2030 che ritrae un giovane vestito semplicemente e che recita “non posseggo nulla e sono felice”:
“You’ll own nothing. and you’ll be happy” accompagna il volto d’un ragazzo nei cartelloni di tutti i Paesi occidentali,la pubblicità è stata premiata agli Effie Awards mondiali Usa 2020.
Veniamo al nocciolo del problema:
al Governo italiano sono state chieste riforme che abbattano radicalmente sia il risparmio (sui conti e in contante) che la propensione alla proprietà di beni immobili (case e terreni) che
mobili (auto, quadri, barche, opere d’arte, beni di lusso in genere).
Ovviamente la leva fiscale è lo strumento immediato per garantire il cambio d’abitudini:
ergo, la patrimoniale su beni immobili e risparmi abbinata ad un inasprimento della tassa di successione sarebbero la dimostrazione di una politica italiana in linea con le richieste Ue e le linee Onu.
Resta lecito domandarsi se il cittadino tipo romano possa entro il 2030 omologarsi a quello di Stoccolma:
come da statistiche della Commissione europea, il primo ha in media per l’87 per cento alloggi di proprietà, una o più auto di proprietà e cerca di risparmiare danaro per acquisti o necessità future;
solo il 24 per cento dei cittadini di Stoccolma ha una casa di proprietà, meno del 20 per cento un’auto
(più del’80 per cento ricorre al noleggio di auto, moto e bici), soprattutto non credono sia giusto risparmiare e ricorrono al prestito (all’indebitamento), la maggior parte dei nordeuropei non insegue il lusso ma veste in maniera frugale, all’affermazione personale e professionale predilige occupazioni che abbiano un fine sociale nella comunità.
Va detto che l’Agenda Onu 2030 usufruisce di importanti sponsorizzazioni
da Bill & Melinda Gates Foundation, Amazon Foundation, Ghetti
Foundation Museum, Rothschild Foundation, BlackRock Grants Foundation;
tutte organizzazioni benefiche e pauperiste convinte che l’uomo
sarebbe più felice abolendo la proprietà e favorendo il prestito.
Gli sponsor dell’Agenda hanno anche mostrato in sede Onu numerose ricerche sociologiche,
redatte da esperti già docenti a Yale e Stanford, che dimostrerebbero come
l’uomo con scarsa propensione alla proprietà di un bene produrrebbe meno consumo del pianeta
rispetto all’ominide tradizionale che lavora per farsi casa e per aumentare le proprie ricchezze materiali.
Insomma, per avere una sorta di Paradiso in terra (diciamo giardino dell’Eden)
necessiterebbe convincere l’uomo a vivere in una sorta di paciosa contemplazione:
nel totale distacco dalla proprietà dei beni e dall’affannosa corsa
all’affermazione professionale, lavorativa, e all’inutile guadagno ed
accumulo.
Gli italiani comunque non sarebbero soli;
le statistiche dimostrano che la proprietà dei beni ed il risparmio
sarebbero ancora preponderanti nelle mentalità arabe e nei Paesi dell’ex
blocco sovietico.
Indagini ed interviste avrebbero dimostrato che più del 70 per cento degli italiani non si fiderebbe dell’Ue
e vedrebbe queste riforme come una sorta di furto dei rispettivi sacrifici.
Poi solo una risibile minoranza planetaria reputerebbe che un progetto di “povertà sostenibile”,
alimentata da un reddito universale di cittadinanza, possa distaccare l’uomo dal lavoro e dai beni materiali,
favorendo il disinquinamento del pianeta.
E qui si apre un altro problema, ovvero se le politiche degli Stati nazionali nel declinare l’Agenda 2030 potrebbero riuscire a modificare la mentalità dell’uomo moderno, che in
circa trecento anni s’è emancipato politicamente ed economicamente
grazie al lavoro.
Quest’ultimo, principale imputato dell’inquinamento e consumo del territorio,
ha di fatto abbattuto in trecento anni le differenze di censo, favorendo il rimescolamento sociale,
soprattutto che l’aristocrazia cedesse il passo alle classi borghesi.
Il lavoro ha trasformato i sottoproletari in proletari e poi in borghesi:
braccianti in contadini piccoli proprietari,
operai e manovali in artigiani e poi in imprenditori.
Emancipazione e stravolgimento delle classi sociali verificatosi solo e soltanto con la leva economica, ed in forza del “contratto sociale”.
Oggi l’Onu chiede la virtualizzazione dei beni, e che l’uomo ormai maturo e contemplativo non trattenga la palla:
che abbandoni l’idea d’accumulo del denaro e di proprietà dei beni.
Soprattutto che, pandemie permettendo, torni ad essere nomade per interessi ed attività, lavorando un po’ qua ed un po’ là:
perché questo avvenga l’Agenda 2030 impegna l’Ue ad imporre ai singoli Stati delle leggi
che consentano l’accantonamento della famiglia tradizionale, abolendo leggi d’aiuto alla costituzione familiare.
L’Agenda 2030 è di fatto l’aggiornamento dell’Agenda 21,
che già nel 1992 poneva gli obiettivi dell’Onu per il 2021:
ovvero “sviluppo sostenibile per il XXI secolo” in cui si “eleva la natura al di sopra dell’uomo”.
L’Agenda 21 già conteneva il “principio precauzionale”, ovvero la
filosofia che “si è colpevoli fino a quando non viene accertata
l’innocenza”,
che l’Onu vorrebbe adottata in forma planetaria,
insieme alla fine delle sovranità nazionali, all’abolizione della proprietà dei beni,
alla ristrutturazione dell’unità familiare,
alle limitazioni per accesso
al lavoro ed espletamento di attività umane tradizionali (caccia,
pesca, artigianato).
Tutto è stato ampliato e riaffermato nell’Agenda 2030.
L’idea è quella di rispetto della Terra, che la sua superficie non venga ferita dalle attività umane:
ecco la necessità di concentrare gli uomini in zone tecnologiche d’insediamento,
e qui l’Onu considera bidonville e favelas non più come esempi negativi,
ma come villaggi da rendere tecnologici per concentrarvi gli esseri umani.
Molenbeek-Saint-Jean è il quartiere ghetto dove in Belgio viene sperimentata l’Agenda 2030:
il quartiere è zona di detenzione, è sede di moschea, ma è anche il luogo dove nessun residente ha proprietà e viene controllato dalla polizia e mantenuto da un sussidio in moneta elettronica.
L’Agenda 2030 impone all’Ue anche il risparmio in materia d’istruzione, e questo lo eredita dall’Agenda 21:
l’obiettivo verrebbe raggiunto con la didattica a distanza per le scuole pubbliche,
mentre le private potrebbero continuare con la presenza.
Di fatto si creerebbe un discrimine formativo per favorire una diffusa “povertà sostenibile”:
sappiamo che individui altamente istruiti progettano maggiori guadagni e consumano più risorse,
a differenza degli esseri umani scarsamente scolarizzati che tenderebbero a minore agio economico.
L’istruzione di alto livello più è diffusa più minaccia la sostenibilità.
Così la vecchia discarica milanese di via Tobagi diventa una bidonville tecnologica simile alla baraccopoli di Korogocho a Nairobi, o alla casa di rifiuti di Dacca che è il più noto slum del Bangladesh.
Un’ex modella nordica molto pagata dalla Rai ha detto recentemente che “la povertà salverà il pianeta”.
A ben guardare queste politiche economiche sembra ci stiano portando
verso il destino che Stanley Kubrick affidava alla scimmia di “2001: Odissea nello spazio”.
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