La grandezza di Hayek e quella di Mises sta prima di tutto nella loro fermezza e netta opposizione ai dettami del conformismo intellettuale e così hanno salvaguardato le fondamenta dell’economia come scienza della ragione.
Per lo statalismo l’economia di mercato è diventato un fenomeno da tollerare come se fosse un’anomalia con cui dobbiamo convivere.
Memorabile a questo riguardo il leitmotive del Presidente del Consiglio, Monti: “l’equità come chiave di sviluppo”, degno epitaffio per la futura pietra tombale del governo attuale.
Hayek, appunto, notava che l’equità, la giustizia ridistribuiva, il cavallo di troia dei regimi totalitari,(e qui mi riallaccio alle considerazioni della Sileoni) porta ad un progressiva sostituzione del diritto privato con quello pubblico. L’ideologia antimercato che vuole regolare tutte le cose tramite precetti e divieti riducendo l’economia ad un fatto amministrativo, non può non contaminare anche il diritto.
Lo statalismo per essere efficace deve contare sulla sua acquiescenza per garantirsi la legittimità di progettare la società secondo i suoi particolari e arbitrari criteri. La tendenza a socializzare l’economia deve pertanto prevedere la socializzazione del diritto trasformando, il più possibile, il diritto privato in diritto pubblico. Negli ex paesi socialisti infatti esisteva praticamente solo il diritto pubblico. Quest’ultimo non è formato da norme di condotta per i privati cittadini ma da norme di organizzazione per pubblici ufficiali. E’ un diritto che non tende a regolare i rapporti tra i cittadini ma a subordinarli all’autorità.
Nella lotta per l’equità e giustizia sociale, anche i giudici sono diventati parte attiva per scardinare ancora di più il mercato. La giustizia distributiva non è né equa né egualitaria, ma procede secondo uno schema di valori che è quello di chi di volta in volta governa, di chi legifera o di chi è giudice. Nel diritto non dovrebbero avere cittadinanza giudizi di valore, dovrebbe essere un elemento coordinatore per trattare i cittadini allo stesso modo, altrimenti si trasforma in diritto “subordinante” che appoggia gli interessi di qualcuno in base al metro di valore che vi è implicito.
E così anche il corpo legislativo è diventato interventista ed in questo modo alimenta quel processo di corruzione che vorrebbe combattere. Più uno stato è corrotto, più legifera (Tacito). La legge dispone ed il cittadino obbedisce, questa è la democrazia dove il cittadino e le sue proprietà diventano meri oggetti della pubblica amministrazione. Si capisce perché Hayek non si definiva democratico. Per lui, la democrazia, il governo della maggioranza dotato di potere illimitato era diventato dispotico come un tiranno qualsiasi. Lo scopo delle costituzioni, scriveva è quello di prevenire le azioni arbitrarie ma la democrazia diventando un processo di acquisizione di voti per remunerare interessi particolari, ha aperto le porte all’arbitrio legislativo.
Si è inaugurata così l’epoca dell’oscurantismo non solo economico ma anche giuridico. Più aumenta la presenza dello stato nell’economia più scende in basso la reputazione del governo parlamentare, più viene coartata la libertà individuale, più il diritto diviene incerto perché ispirato dalla politica. Infine, la tendenza a portare tutti gli interessi sotto il proprio controllo distrugge anche lo spirito pubblico. Sempre e dovunque.
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