La sentenza emessa dal Tribunale di Velletri lo scorso 24.10.2924 e che
ha annullato il provvedimento di sospensione di una lavoratrice
inadempiente all'obbligo vaccinale, dichiarando illegittima la
sospensione e la mancata retribuzione, ha una portata davvero
dirompente.
Non si basa su alcun convincimento personale del giudicante, su alcuno
studio scientifico (sempre opinabile se non "allineato", in base a
quella che è stata eletta la scienza ufficiale, unica depositaria del
vero).
Essa si basa sulla violazione di legge da parte di chi ha imposto l'uso di questi prodotti che, appunto, sono stati utilizzati al di fuori delle indicazioni terapeutiche previste nei propri RCP: prevenzione della malattia covid-19.
Sappiamo invece che il loro uso è stato imposto per la prevenzione
dell'infezione da virus Sars-Cov2, ma questo è dunque un uso off label,
ossia al di fuori delle indicazioni proprie del prodotto.
È stata, finalmente, messa in luce la violazione della norma in base
alla quale viene strutturato l'uso off label di un farmaco, ergo il suo
utilizzo per una indicazione terapeutica diversa da quella per cui è
stato autorizzato (Legge 648/1998).
Il giudice ha accertato che non è
stato autorizzato quanto previsto, appunto, per l'uso off label di un
farmaco, dalla Commissione scientifica ed economica di AIFA, l'utilizzo
a carico del SSN di un vaccino per la prevenzione della trasmissione
del virus Sars-Cov2.
Questo non è avvenuto perché mancavano i presupposti essenziali: cioè
1) la non esistenza di una alternativa terapeutica valida;
2) studi conclusi e pubblicati di fase II che dimostrano un'efficacia adeguata con profilo di rischio accettabile per l'indicazione richiesta (prevenzione dell'infezione);
3) la pubblicazione in GU e poi in
apposito elenco sul sito di AIFA; 4) si tratti di soggetti affetti da
quella certa patologia individuata.
Va inoltre considerato che il medico che prescrive un farmaco per uso
off label lo fa sotto la sua diretta responsabilità raccogliendo un
consenso ben specifico e dettagliato del paziente. Dunque, in tal caso è
stato pure violato il diritto delle persone a prestare un consenso
realmente libero e dettagliatamente informato.
Il giudice della sentenza di Velletri ha formulato i suoi quesiti ad un
CTU che ha fatto emergere delle verità sostanziali:
su che base potevano essere vaccinate le persone guarite?
La stessa Pfizer aveva dichiarato
che i guariti non avevano fatto parte della sperimentazione e, proprio
per questo, essi non sono menzionati nelle schede tecniche.
Ecco che si individua una faglia importantissima:
non poteva essere
somministrata neppure una dose né si poteva -come invece si è fatto-
parlare del lasso di tempo necessario da far intercorrere tra una
vaccinazione e la dose successiva, proprio perché mancava (e manca)
indicazione terapeutica al riguardo che potesse far ritenere sicura la
vaccinazione dei soggetti con pregressa storia di malattia o
semplicemente di infezione.
Considerando pure che i soggetti guariti sono comunque sani e l'uso off
label di un farmaco prevede il suo utilizzo solo sulle persone ammalate,
ecco che ciò che emerge è la pura violazione di legge, cosa che a
prescindere da qualsiasi orientamento del giudicante (pro o contro
questi "vaccini") è in dato oggettivo.
Avv. Manola Bozzelli
Aggiungiamo che il CTU, stante la differenza tra malattia (covid-19) e
virus (Sars-Cov2), ha messo in luce pure il fatto che le persone
vaccinate sono state indotte a ritenere falsamente di non essere
infettive, abbandonando quegli accorgimenti che potevano rivelarsi
utili, nei confronti delle persone fragili, come ad es. il
distanziamento.
Quindi i veri untori erano e sono stati tutti quelli che- falsamente informati - erano stati vaccinati.
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