E il bello è che, nella giornata degli idranti e dei lacrimogeni sugli inermi,
qualcuno ha anche il coraggio di sostenere di esser stato eletto sindaco di Roma.
Eletto da chi ?
Nel vuoto cosmico dei seggi disertati da sette romani su dieci?
Quella stessa mattina – a urne aperte – venivano amorevolmente manganellati i portuali di Trieste,
spazzati via dalle truppe del ministero dell’interno.
Immagini che fanno storia: il ragazzone Stefano Puzzer in lacrime, a terra, le mani strette in quelle dei compagni.
L'Italia guarda, non dimenticherà.
Vede perfettamente il senso dello spettacolo:
spazzare via milioni di italiani fastidiosi, cioè ancora vivi e svegli. Milioni: troppi.
Probabilmente destinati addirittura a dimezzarsi, come popolazione complessiva.
Lo ha detto l’Istat, di recente: siamo un paese da 32 milioni di persone.
Avanti di questo passo ci depopoleremo, semi-estinti dalla dilagante denatalità che affligge un sistema sociale ininterrottamente massacrato dal 1992, quando sua eccellenza Mario Draghi salì sul panfilo Britannia.
Le privatizzazioni, la guerra al popolo italiano sotto forma di dismissione del più importante sistema pubblico-privato del mondo.
Da lì in poi, come canta Edoardo Bennato, il seguito è una vergogna: mere conseguenze.
Fino al venerabile Monti e alla genuflessione dei sindacati-fantoccio, oggi presi in braccio dall’imperatore in persona, mentre la generalità dei registrati all’anagrafe della repubblica – archiviata la Costituzione – viene sottoposta a vessazioni grottesche, medievali, verso un futuro di stampo cinese
. La patente a punti, per sperare di restare semi-cittadini (ma sotto ricatto, per sempre).
Un gioco antico: prima ti tolgo tutto quello che hai e poi te ne restituisco una parte, con il peggior autoritarismo paternalistico: ma solo se farai quello che dico io.
Di mezzo c’è stato un mare infinito di sciagure, minacce e cedimenti:
le crisi finanziarie pilotate, i terrorismi fatti in casa.
Oggi vale tutto, anche rincarare la benzina in modo folle.
E raccontare, in modo altrettanto folle, oltre che ridicolo, che sarà l’auto elettrica a salvare il pianeta dall’esuberanza siderale del Sole.
Eppure, Trieste lo mostra chiaramente: c’è un potere così vuoto e disperato da aver paura di cento ragazzi armati soltanto della loro tuta gialla, ovvero della loro irriducibile dignità di lavoratori.
In una parola: armati della loro umanità.
Alla faccia delle carnevalate incresciose che il copione sforna, tra porte infere e decreti varati a freddo, senza anestesia, tra gli alalà degli zombie politici presi in ostaggio, ipnotizzati da una sceneggiatura scritta altrove, lontanissimo da noi.
Ecco il punto: il mondo ci guarda.
Nei giorni scorsi, mentre la stampa nazionale taceva (che strano), la protesta di Trieste campeggiava sulle prime pagine dei quotidiani europei.
A renderla visibile ha poi provveduto il Viminale, alla vecchia maniera: sprangate e getti d’acqua contro lavoratori in sciopero, decisi a far valere i diritti costituzionali dell’intera comunità italiana.
Prima ti ignorano, poi ti deridono.
Ora siamo alla terza fase della dinamica sintetizzata da Gandhi:
ti combattono, temendo che sia vicinissimo il momento numero quattro, l’ultimo.
La tua vittoria.
Sempre nella giornata degli idranti (e delle elezioni-fantasma, a Roma e non solo), sui reticenti foglietti del post-giornalismo italico circolava la seguente indiscrezione:
insieme al suo intero governissimo virtuale, sua eccellenza si starebbe preparando a metter fine alla presente pagliacciata, lasciando decadere il regime di apartheid il 31 dicembre.
Qualcuno si domanda:
come dare credito, ai pericolosi buffoni che da quasi due anni hanno sequestrato la vita degli italiani?
Gli ottimisti, al contrario, scommettono su un allentamento ancora più rapido, magari truccando un po’ i numeri della campagna zootecnica di digitalizzazione di massa.
Trieste, comunque, cambia le cose.
Non ti aspetti più niente, da chi ti prende a secchiate in faccia.
Lo fa perché ti teme, perché sa che non sei solo.
Sa perfettamente che milioni di esseri umani stanno già inceppando la macchina,
letteralmente, con un gesto semplicissimo: astenersi dal partecipare.
Stare a casa: adesso sì.
Far saltare – senza muovere un dito – i numeri della roulette in cui sono maestri,
i bari e i ladri di vite umane, di destini, di gioventù.
I ladri di felicità.
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