L’economia è il regno dell’incertezza e, anzi, un celebre adagio che circola tra gli addetti ai lavori nella disciplina sottolinea come il ruolo dell’economista sia quello di spiegare domani perché ieri non si è riusciti a prevedere ciò che sarebbe accaduto oggi.
Una battuta che basterebbe da sola a mettere nell’angolo coloro che si ostinano a ritenere l’economia una branca delle hard sciences,una disciplina maneggiabile attraverso stime, regressioni e modelli
capaci di avere il crisma dell’universalità, come esperimenti ripetuti
in laboratorio.
Questo, nelle intenzioni di una serie di economisti di origine o formazione anglosassone,
svilisce l’economia negandone il ruolo di scienza sociale,
intrinsecamente connessa al contesto in cui un sistema viene ad emergere
e a precise dinamiche politiche.
La volontà di governare l’economia con equazioni e modelli considerati universalmente validi
porta a negare i presupposti politici che, ad esempio, spingono a definire in maniera più o meno elevato
l’effetto di moltiplicazione che un aumento o diminuzione della spesa
pubblica avrà sul totale del Pil o concetti come quello di “Pil
potenziale” .
E proprio per questo motivo di recente l’Fmi è salito sul banco degli
imputati per la sua incapacità di adattare la statistica al mondo reale.
“Il problema di fondo è legato strettamente all’ idea di potere
esaminare un mondo probabilistico con criteri deterministici”, scrive Italia Oggi.
“I modelli previsionali degli analisti finanziari e del Fmi non possono funzionare in quanto asimmetrici alla realtà che hanno la presunzione si debba adattare ai loro modelli stessi
astrali mentre la logica suggerisce l’ ovvio contrario e cioè che siano i
modello ad adattarsi alla realtà.
La presunzione di volere che la realtà si adatti ai modelli e non viceversa è la manifestazione più evidente
di quanto un modello socioculturale che ha per decenni dominato il nostro mondo sia fallito nei fatti”.
A certificarlo un economista che lavora per la stessa istituzione chiave del Washington Consensus,
di recente tanto allarmata per la tenuta dell’Italia quanto poco
presente nel dibattito sulla dominante volatilità che agita gli scenari
borsistici globali.
“Prakash Loungani”, affermato studioso del Fmi, “ha compiuto ricerche circa l’accuratezza delle previsioni degli analisti-economisti.
Utilizzando dati tratti da una pubblicazione chiamata Consensus Forecasts (pubblicata dal Consensus Economics), Loungani ha dimostrato che per oltre tre decenni tra le 150 recessioni registrate solo due sono state previste, il tasso di errore è poi salito al 100% nonostante il continuo aggiornamento dei modelli previsionali”.
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