Fino a qualche tempo fa, Lei diceva che eravamo sull'orlo del
baratro. Adesso, è convinto che la fine del mondo ci sia già stata.
«Non la fine del mondo, bensì la fine di un mondo. Siamo usciti dal
mondo moderno, dove i riferimenti erano stabili e la forma politica
dominante era lo Stato-nazione, e siamo entrati in un mondo
postmoderno, dove la visone di lungo termine è ovunque sostituita
dall'effimero. È un mondo liquido, deterritorializzato, dominato dalle
nozioni “marittime” di flussi e di reti».
Però Lei parla di «colpo di Stato europeo».
«Colpo di Stato è forse eccessivo, in quanto sono gli stessi Stati ad
aver accettato di essere progressivamente spogliati delle sovranità
politiche, finanziarie e di bilancio. L'Unione europea, che si è
organizzata dall'alto (con la Commissione di Bruxelles) verso il basso
ha solo seguito questa inclinazione naturale».
Che ne pensa del refrain austerità/crescita?
«L'austerità non riporterà la crescita, poiché il suo scopo principale è
quello di esercitare una pressione al ribasso sui salari e sui
redditi, dunque di diminuire il potere di acquisto, ossia la richiesta.
E quando c'è meno richiesta, il consumo diminuisce, la produzione
anche e la disoccupazione aumenta. Le classi proletarie e le classi
medie sono le prime a soffrirne».
Ma quale può essere l'alternativa? Lei ha più volte affermato:
“l'ideologia della crescita è un errore logico. Non ci può essere
crescita materiale infinita in uno spazio finito”.
«L'alternativa è organizzare, fin da ora, una decrescita sostenibile,
favorendo il ricollocamento, economizzando le riserve naturali,
favorendo gli stili di vita che non si riducono a una fuga in avanti
nei consumi. Ma l'alternativa è anche “ideologica”: si tratta di
rifiutare l'assiomatico dell'interesse e il primato dell'economia, e di
smettere di volere “sempre di più”. “Di più” non è sinonimo di
“meglio”».
Altrimenti, come scrive nel libro, prevede una vera e propria marcia verso la miseria.
«Lo possiamo constatare già oggi in diversi paesi europei. Il risultato
delle politiche di austerità adottate sotto la pressione dei mercati
finanziari è proprio questo. La disuguaglianza tra i vari Paesi e al
loro stesso interno non smette di ampliarsi, a esclusivo beneficio delle
nuove classi finanziarie e politico-mediatiche».
Ma c'è stato un momento preciso in cui abbiamo perso la nostra sovranità?
«L'abbandono è stato progressivo. È il risultato del trasferimento
all'Unione Europea di gran parte della sovranità che non è stata
riportata a un livello superiore (una sovranità europea), ma scomparsa
in una sorte di “buco nero”. Questo processo è stato completato dalla
politica del debito, che ha posto gli Stati sotto il controllo di
investitori privati e agenzie di rating».
Ed è possibile riconquistare quote di sovranità?
«Occorrerebbe ritrovare i mezzi dell'indipendenza economica e
finanziaria, il che necessita un cambiamento radicale delle politiche
pubbliche, a cui però nessun Paese europeo sembra propenso».
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