Due termini – “carcere duro” e coprifuoco – che rendono perfettamente l’idea del tipo di trattamento riservato ai cittadini,
in nome di una dichiarata emergenza sanitaria.
Un’emergenza per la quale sono state a lungo negate e oscurate le cure,
ottenendo così l’effetto di intasare gli ospedali di pazienti ormai aggravatisi,
proprio perché lasciati soli per giorni nelle loro case,
senza la minima assistenza medica.
Logica conseguenza, poi,
l’imposizione di una controversa profilassi sperimentale
(il trattamento sanitario obbligatorio mediante i sieri genici C-19)
e l’adozione del lasciapassare digitale.
Un passaporto “sanitario” senza il quale non si sarebbe più potuto continuare a lavorare,
viaggiare e vivere, o addirittura entrare in un negozio di scarpe,
accedere agli uffici pubblici, fare un salto in banca o spedire una semplice raccomandata postale.
BASTA NON FARSI DOMANDE.
E si finisce per accettare il peggio.
Si accetta che per 24 mesi non si parli che di Covid,
e si arriva a subire la ancora orrenda narrazione quotidiana.
Si accettano equazioni indirettamente suggerite, in modo subdolo:
se il Covid è cattivo (e ci mancherebbe altro), allora anche i russi sono cattivi.
Non solo il loro bieco presidente: anche i loro scrittori, i loro scienziati, i loro artisti, i loro musicisti.
Persino i loro atleti disabili, paralimpici; persino i loro gatti.
Sembra di vivere in un manicomio a cielo aperto, affollatissimo di ciechi.
Un brutto giorno divampa una patologia insidiosa, che semina il panico.
In capo a nemmeno due mesi, però, si trovano le cure.
Ma – anziché renderle disponibili, le terapie – si continua con l’orchestrazione panica (lockdown, coprifuoco)
per poi arrivare all’esito programmato, la campagna “vaccinale” a tappeto con sieri sperimentali.
Era la premessa obbligatoria per giungere alla meta:
la libertà condizionata, vincolata al possesso di un lasciapassare.