Proprio vero.
Questo è uno dei peggiori incantatori e ciarlatani che abbiamo avuto
nella storia d'Italia.....e purtroppo tanta gente ci casca. Se
condividete, passate parola.
Ieri il governo Renzi ha improvvisamente rialzato la testa, urlando ai quattro venti i risultati incoraggianti dell’aumento dei contratti a tempo indeterminato.
Dopo un anno di indicatori puntualmente negativi, i primi dati sulle
assunzioni nel 2015 sono stati annunciati con l’anticipo delle grandi
occasioni, prima da parte del premier stesso che ha raccontato come il ministro Poletti avesse in mano dei numeri “a due cifre” poi, infine, dallo stesso ministero del Lavoro che li ha diffusi orgogliosamente.
Questo, in sostanza, l’esito del monitoraggio operato dallo stesso ministero del Welfare: nel primo bimestre del nuovo anno, i contratti a tempo indeterminato sono cresciuti del 38,5% rispetto allo stesso periodo del 2014, con un incremento di oltre 70mila assunzioni in complesso.
Un risultato, ovviamente, salutato con entusiasmo dal presidente del Consiglio. “L’Italia riparte”, ha sentenziato Matteo Renzi, mentre, dalla maggioranza, si sperticavano le lodi della politica economica dell’esecutivo.
Ma una cosa dev’essere chiara fin da subito: i numeri che oggi l’esecutivo sventola con tanta soddisfazione non hanno niente a che fare con la riforma del lavoro. O, forse, dipendono proprio dal suo arrivo, non già come incentivo, ma come deterrente: ecco perché.
Innanzitutto, è da sottolineare il valore aggiunto degli sgravi contenuti nella recente legge di stabilità,
che ha ridotto sensibilmente i contributi Inps ai datori di lavoro che
sottoscrivono nuovi contratti a tempo indeterminato, insieme a una
parallela riduzione del fardello Irap.
Insomma, un’occasione molto ghiotta che, giustamente, le imprese hanno prontamente colto non appena i fondi sono stati sbloccati.
Ma d’altro canto, persiste un’ulteriore ragione alla base dell’impennata così decisa delle assunzioni.
E non rientra nei casi dell’economia che riparte, o della crisi ormai
alle spalle, tutte frasi che spesso, purtroppo, abbiamo sentito a
sproposito.
Siccome i dati diffusi dal ministero del Lavoro si riferiscono ai mesi di gennaio e febbraio, non
bisogna ignorare come la nuova tipologia dei contratti a tutele
crescenti, contenuta nel decreti attuativi del Jobs Act sia entrata in
vigore, guarda caso, proprio dal 7 marzo.
Tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato sottoscritti da quel
giorno, non godonoo più della corazza contro il licenziamento senza
giusta causa prima costituita dall’articolo 18.
Ecco, dunque, che i numeri tanto osannati dal governo assumono dunque una luce completamente diversa:
anziché segnale incoraggiante per il recupero della ricchezza e
l’occupazione, potrebbe essere il frutto di un comportamento difensivo
attuato dai lavoratori, per tutelarsi di fronte all’imminente riforma
dei contratti, magari accettando condizioni più sfavorevoli pur di non rimetterci anche nella protezione del proprio posto di lavoro.
La risposta definitiva la conosceremo solo tra qualche mese, quando saranno diffusi i dati relativi al rodaggio dei nuovi regimi contrattuali, scaturiti dal tanto contestato Jobs Act.
E chissà che non finiremo per imbatterci in una scoperta davvero
inattesa: di questa riforma potevamo tranquillamente farne a meno.
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