24 set 2011

Timone a Dritta - Avanti a tutta forza

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L’analisi di Credit Suisse parte dalle voci di un imminente default della Grecia. Colpa del mancato raggiungimento degli obiettivi fissati dalla troika composta da Commissione Ue, Bce e Fondo monetario internazionale (Fmi). Ormai è solo questione di tempo. Il rollover del debito ellenico, coordinato dall’Institute of international finance (Iif), ha raggiunto solo ora l’80%, mentre doveva essere a quota 90% a inizio settembre. E sebbene la prossima tranche di aiuti finanziari del bailout da 110 miliardi di euro varato nel maggio 2010 sarà probabilmente erogata, ancora non v’è certezza sul secondo piano di salvataggio deciso durante il Consiglio europeo del 21 luglio scorso. Infatti oggi la banca tedesca Deutsche Bank ha allarmato gli investitori delle possibili svalutazioni sui bond ellenici, che potrebbero superare il 21% stimato in luglio.
Il focus della banca svizzera si porta poi sulle alternative a un collasso dell’euro. In questo caso ci sono tre possibilità. La prima è che la Grecia lasci l’eurozona, provocando un parziale break-up. In questo caso, considerato ormai dalla comunità internazionale il più verosimile, le perdite potrebbero impattare su tutte le banche che detengono obbligazioni elleniche in modo significativo. Non è possibile tuttavia calcolare al meglio quanto potrebbero essere le svalutazioni da ascrivere a bilancio per gli istituti bancari mondiali.
La seconda soluzione è la creazione di un euro «a due velocità». Da un lato Germania, Austria, Olanda e Lussemburgo. Dall’altro troveremmo la Francia a guidare Italia, Belgio, Spagna e tutti gli altri. Del resto, ricorda Credit Suisse c’è un precedente storico. Fra il 1865 e il 1927 si era formata l’Unione monetaria latina, un tentativo di armonizzazione delle valute di tra Francia, Belgio, Italia e Svizzera. Nel caso di un spaccatura in due, tuttavia, ci sarebbe un vero e proprio blocco, come spiega Credit Suisse: congelamento dei depositi, guerra commerciale, enorme contrazione del mercato dei prestiti bancari. In pratica, qualcosa di molto simile a periodo dopo il fallimento di Lehman Brothers.
Infine, c’è l’opzione considerata «più interessante» dagli analisti del colosso bancario elvetico, l’uscita volontaria dell’Italia dalla zona euro. Sebbene sia considerata come un caso di studio, i vantaggi per Roma non sarebbero pochi. La base industriale italiana è considerata positivamente da Credit Suisse, come anche l’avanzo primario che attualmente sta producendo l’Italia. Il problema maggiore è legato al carattere dell’economia italiana, prevalentemente esportatrice di beni. Se Roma decidesse volontariamente di uscire dall’euro, è probabile che il resto dell’Europa periferica potrebbe finire sotto i colpi di «una imponente pressione deflazionaria», spiega Credit Suisse. Ma non solo. Data l’importanza politica dell’Italia nel progetto di formazione europea, è difficile pensare non ci possano essere altre nazioni della periferia a non optare per la stessa soluzione.
Rimane il problema di fondo. I trattati europei attualmente non permettono un’uscita dall’eurozona. Il Trattato di Lisbona, all’articolo 50, disciplina la secessione dall’Unione europea, ma non dalla moneta unica, la cui adesione è irrevocabile. Non è un caso che il cancelliere Angela Merkel stia spingendo sull’acceleratore per porre delle modifiche ai trattati, in grado anche di garantire una via d’uscita dall’euro. A fare lo stesso ci hanno pensato anche il primo ministro olandese Mark Rutte e il suo ministro delle Finanze Jan Kees de Jager, che due settimane fa hanno scritto una lunga missiva al Financial Times. Nella lettera si proponeva un alto commissario Ue al Budget, con poteri sanzionatori in caso di poca virtuosità di bilancio. E la sanzione estrema ipotizzata era proprio l’espulsione dall’eurozona.
«Il rischio maggiore è che un partito politico in Italia invochi l’uscita dall’euro». Credit Suisse torna a parlare di crisi dell’eurozona e di Euro break-up, il collasso dell’eurosistema. Lo fa parlando dei costi, politici ed economici, ma lo fa parlando anche esplicitamente dell’Italia. «Il più interessante scenario è se l’Italia decidesse di uscire volontariamente», spiegano gli analisti della banca elvetica. Nella ricerca sono calcolate anche le possibilità di un completo collasso, dato attualmente al 10%. Le probabilità tuttavia salgono al 20% nel caso la Francia perdesse il suo rating AAA. E dati gli ultimi segnali che arrivano dalle agenzie di rating, la direzione sembra essere questa.
1.080 miliardi di euro. Questa è quanto potrebbe costare un break-up della zona euro. A patire maggiormente sarebbero le banche dei Paesi periferici che, esclusa l’Italia, potrebbero subire perdite per 630 miliardi di euro. Gli istituti di credito dell’Europa più forte (Germania, Olanda, Austria, Lussemburgo) patirebbero invece almeno 300 miliardi di euro di perdite. Ma a soffrire sarebbe anche la Banca centrale europea (Bce), con almeno 150 miliardi di euro di possibili svalutazioni da compiere. Il tutto senza considerare i costi sociali e politici dell’eventuale fallimento dell’eurozona

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