4 feb 2019

FANTANALISTI DUE

Lo scoppio della Grande Recessione ha accelerato una tendenza consolidata all’accrescimento
della volatilità borsistica, finanziaria e produttiva che l’interconnessione tra le economie ha finito per esacerbare.

La famosa domanda dalla Regina Elisabetta II ai vertici del governo inglese dopo i primi fallimenti bancari negli Stati Uniti e gli effetti a cascata che investirono il Regno Unito (“come avete fatto a farvi sfuggire tutto questo?”) nella sua semplicità è l’uovo di Colombo dell’economia contemporanea, di cui il Fmi è l’organismo rappresentativo per antonomasia.

L’ipocrisia che vuole incidere nella pietra presupposti economici dettati da logiche prettamente politiche
(dalla necessità del contenimento della spesa all’utilità delle misure di austerità per ridurre i debiti dei Paesi)
porta a costruire modelli compiacenti che si scontrano con la realtà, tutt’altro che immanente e variegata
nei diversi contesti in cui un Paese si trova nel momento di un boom o di una crisi economica.


La stessa idea che sia il gioco delle aspettative razionali a determinare gli andamenti di lungo periodo
e la concezione degli agenti economici come enti perfettamente capaci di capire cosa massimizzi la propria utilità è un’assunzione arbitraria elevata a dogma a partire dagli Anni Settanta.

Frederich von Hayek, nel discorso di accettazione del Nobel per l’Economia del 1974, sintetizzò il problema in maniera emblematico:

“Questa visione ha conseguenze paradossali…, infatti riguardo al mercato ed alle strutture sociali abbiamo una grande quantità di fatti non misurabili che come tali vengono semplicemente trascurati considerando come rilevante solo ciò che è misurabile che rappresenta la minima parte delle informazioni che servono…
Come professione abbiamo combinato un grande pasticcio”.

Fu profeta inascoltato.

E il Fmi odierno testimonia come le problematiche da lui sollevate siano tutt’altro che superate dalla realtà odierna. Con grave pregiudizio delle nazioni a cui la principale organizzazione economica internazionale propina le sue “ricette” anticrisi.

FANTANALISTI IGNORANTI

L’economia è il regno dell’incertezza e, anzi, un celebre adagio che circola tra gli addetti ai lavori nella disciplina sottolinea come il ruolo dell’economista sia quello di spiegare domani perché ieri non si è riusciti a prevedere ciò che sarebbe accaduto oggi.

Una battuta che basterebbe da sola a mettere nell’angolo coloro che si ostinano a ritenere l’economia una branca delle hard sciences,una disciplina maneggiabile attraverso stime, regressioni e modelli capaci di avere il crisma dell’universalità, come esperimenti ripetuti in laboratorio.

Questo, nelle intenzioni di una serie di economisti di origine o formazione anglosassone,
svilisce l’economia negandone il ruolo di scienza sociale, intrinsecamente connessa al contesto in cui un sistema viene ad emergere e a precise dinamiche politiche.

La volontà di governare l’economia con equazioni e modelli considerati universalmente validi
porta a negare i presupposti politici che, ad esempio, spingono a definire in maniera più o meno elevato
l’effetto di moltiplicazione che un aumento o diminuzione della spesa pubblica avrà sul totale del Pil o concetti come quello di “Pil potenziale” .

E proprio per questo motivo di recente l’Fmi è salito sul banco degli imputati per la sua incapacità di adattare la statistica al mondo reale.

“Il problema di fondo è legato strettamente all’ idea di potere esaminare un mondo probabilistico con criteri deterministici”, scrive Italia Oggi.
“I modelli previsionali degli analisti finanziari e del Fmi non possono funzionare in quanto asimmetrici alla realtà che hanno la presunzione si debba adattare ai loro modelli stessi astrali mentre la logica suggerisce l’ ovvio contrario e cioè che siano i modello ad adattarsi alla realtà.
La presunzione di volere che la realtà si adatti ai modelli e non viceversa è la manifestazione più evidente
di quanto un modello socioculturale che ha per decenni dominato il nostro mondo sia fallito nei fatti”.

A certificarlo un economista che lavora per la stessa istituzione chiave del Washington Consensus,
di recente tanto allarmata per la tenuta dell’Italia quanto poco presente nel dibattito sulla dominante volatilità che agita gli scenari borsistici globali.

Prakash Loungani”, affermato studioso del Fmi, “ha compiuto ricerche circa l’accuratezza delle previsioni degli analisti-economisti.
Utilizzando dati tratti da una pubblicazione chiamata Consensus Forecasts (pubblicata dal Consensus Economics), Loungani ha dimostrato che per oltre tre decenni tra le 150 recessioni registrate solo due sono state previste, il tasso di errore è poi salito al 100% nonostante il continuo aggiornamento dei modelli previsionali”.

ECOLOGISTI IGNORANTI

Vorrei ricordare questo articolo pubblicato nel 2007 :

Valutare l'intero periodo di caldo Medievale non è semplice, anche perché nella sua vasta estensione
che comprese più Secoli (all'incirca tra l'800 ed il 1200 dC), si alternarono ovviamente cicli più caldi ed anche qualche ciclo di freddo.

Gli inverni rigidi si riscontrano anche durante questo periodo di tempo, come quello del 1010-11, durante il quale gelarono il Bosforo ed il Nilo al Cairo.

Ma il numero e la frequenza di tali inverni si mantenne molto bassa anche comparata con il mite periodo attuale.

Si stima, dai documenti storici dell'epoca, che il 1020 ed il 1190 l'Islanda vedesse solamente una volta i ghiacci artici
arrivare fino alle coste settentrionali dell'Isola, precisamente nell'anno 1119 ( quando anche in Italia gelò la Laguna Veneta assieme ad alberi e viti nel Veneto).

Questo quando, nei Secoli successivi, mediamente ogni 5 anni tali ghiacci raggiungessero regolarmente la Grande Isola dell'Atlantico Settentrionale.

Tale rarefazione dei ghiacci artici, fa pensare a temperature estremamente elevate soprattutto nel Nord Atlantico,
sul Polo, con mari liberi da pericoli di icebergs e tempeste improvvise, che favorirono le esplorazioni Vichinghe e la colonizzazione della Groenlandia.

Qui, si sviluppò l'agricoltura e l'allevamento del bestiame, grazie a temperature probabilmente di 4°C più elevate delle attuali, tanto che si raggiunse un numero di 190 fattorie e di 3000 coloni.

Mentre in Italia l'aumento del livello del mare provocò l'impaludamento di molte zone costiere,
ed il diffondersi della malaria (tanto che moltissime città vennero costruite sui colli),
in Francia prosperò la coltivazione dei cereali, e l'allevamento del bestiame allo stato brado grazie al diffondersi delle foreste rade di querce, dovute al clima fattosi più secco e più caldo.

Un paragone con l'attuale periodo può essere fatto prendendo ad esempio la coltura della vite in Inghilterra.
Essa venne coltivata, con abbondante produzione di vino, fino al 53° parallelo.

Per la produzione di vino, occorre che la temperatura media dei tre mesi estivi sia di almeno +18,5°C.
La media attuale di Londra, in Estate, è di due gradi inferiore.

Possiamo dunque immaginarci un periodo estivo, durante il Medioevo, durante il quale le Estati come quella del 2003 si presentavano regolarmente con una frequenza molto elevata.

Infine, due date, di inizio e di fine di questo periodo di grande caldo.

Nell'814, la scoperta della tomba di San Giacomo di Compostela, venne preannunciata "da un gran numero di segni celesti, e di luci notturne".
Se ne deduce la presenza di numerose aurore boreali a latitudini mediterranee, segno di un'attività solare improvvisamente intensa e feroce.

Dal lato opposto, notiamo come i ghiacci polari, scomparsi per circa 170 anni,
ricomparvero all'improvviso attorno all'Islanda per 7 anni consecutivi, dal 1197 al 1203,
anno nel quale addirittura rimasero anche nei mesi di Luglio ed Agosto.

Nel 1205 gelò il Tamigi a Londra, nel 1216 il Po, nell'inverno famosissimo del 1234 gelarono il Po, la Laguna Veneta,
il Tamigi dal 25 dicembre al 02 Febbraio, con gelo addirittura degli alberi di meli in Inghilterra.

Il clima era cambiato, i ghiacciai avanzarono all'improvviso.

La Torbiera del ghiacciaio del Fernau, in Tirolo, rimase coperta dai ghiacci tra il 1220 ed il 1350,
datando in tal modo il periodo del freddo post medievale, ed il cambiamento del clima, con passi alpini e pascoli d'alta quota ricoperti di neve e di ghiacci
, rimase impresso nella memoria popolare sotto forma di numerose leggende.

Così ebbe fine uno dei periodi più caldi della storia della nostra Civiltà, lasciando spazio ad un clima più rigido e maggiormente variabile, culminato poi nei Secoli di grande freddo tra il 1550 ed il 1850.

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Quello che tutti, scienziati e noi del volgo non vogliamo comprendere è che l'essere umano ha invaso ogni angolo della Terra
e pretende che questa rimanga così come l'ha trovata, soprattutto per proprio comodo e l'unica cosa certa è che la terra,da quando esiste,
ha subito notevolissimi, notevoli e meno notevoli cambiamenti climatici, anche quando gli uomini erano pochi
e non disponevano di fattori, cosiddetti, inquinanti. Quindi, anche se ci sarà un altro cambiamento dovremo rassegnarci a subirlo.