18 dic 2020

Ignoranti covid al potere

 Leggete e memorizzate bene. In che mani siamo caduti.


Diecimila italiani potevano guarire subito, come tanti Donald Trump.

Invece, aspettando un vaccino, l’Italia va incontro alla terza ondata Covid senza terapie a base di anticorpi monoclonali, quelli che in tre giorni neutralizzano il virus evitando il ricovero.



Da uno stabilimento di Latina in realtà escono furgoni carichi di questi farmaci, ma sono destinati a salvare pazienti americani, non gli italiani.


Ai quali, per altro, erano stati offerti a titolo gratuito già due mesi fa.



È il paradosso di una storia che ha pesanti risvolti sanitari, politici ed etici.

“Abbiamo ‘pallottole’ specifiche contro il virus. Possono salvare migliaia di pazienti, evitare ricoveri e contagi,
ma decidiamo di non spararle. Non si spiega”, ripete da giorni Massimo Clementi, virologo del San Raffaele di Milano.


Racconta che i colleghi negli Stati Uniti da alcune settimane somministrano gli anticorpi neutralizzanti come terapia e profilassi per malati Covid.

La stessa cura che ha salvato la vita a Donald Trump in pochi giorni, nonostante l’età e il sovrappeso:

“Dopo 2-3 giorni guariscono senza effetti collaterali apparenti”.

Il tutto a 1000 euro circa per un trattamento completo, contro gli 850 euro di un ricovero giornaliero.


Gli Stati Uniti ne hanno acquistato 950mila dosi, seguiti da Canada e – notizia di ieri – Germania
.

Non l’Italia, dove si producono.


Il nostro Paese ha investito su un monoclonale made in Italy promettente ma disponibile solo fra 4-6 mesi.

Scienziati molto pragmatici si chiedono perché, nel frattempo, non si usino i farmaci che già si dimostrano efficaci altrove: fin da ottobre – si scopre ora – era stata data all’Italia la possibilità di usare questi anticorpi attraverso un cosiddetto “trial clinico”, nel quale 10mila dosi del farmaco sarebbero state proposte a titolo a gratuito.


Una mano dal cielo misteriosamente respinta mentre il Paese precipitava nella seconda ondata.


Il farmaco – bamlanivimab o Cov555 – è stato sviluppato dalla multinazionale americana Eli Lilly.

La sua efficacia nel ridurre carica virale, sintomi e rischio di ricovero è dimostrata da uno studio di Fase2 randomizzato (la fase 3 è in corso) condotto negli USA.

I risultati sono stati illustrati sul prestigioso New England Journal of Medicine.

Dall’headquarter di Sesto Fiorentino spiegano che l’anticorpo è stato messo in produzione
prima ancora che finisse la sperimentazione perché fosse disponibile su scala globale il prima possibile.


Dal 9 novembre, quando l’FDA ne ha autorizzato l’uso di emergenza, gli Stati Uniti hanno acquistato quasi un milione di dosi.

In Europa si aspetta il via libera dell’Ema che non autorizza medicinali in fase di sviluppo.


Una direttiva europea del 2001 consente, però, ai singoli Paesi EU di procedere all’acquisto
e la Germania ieri ha completato la procedura per autorizzarlo.

A breve toccherà all’Ungheria.

E l’Italia?

Aspetta.


Avendo il suo cuore europeo alle porte di Firenze, finito lo studio la società di Indianapolis
ha preso contatto con le autorità sanitarie e politiche nazionali, anche italiane.


Il 29 ottobre riunione con l’Aifa: collegati, tra gli altri,

Gianni Rezza per il Ministero della Salute;

Giuseppe Ippolito del Cts e direttore dello Spallanzani di Roma;

il professor Guido Silvestri, virologo alla Emory University di Atlanta che aveva favorito il contatto con Eli Lilly.

Sul tavolo, la possibilità di avviare in Italia la sperimentazione con almeno 10mila dosi gratis del farmaco che negli USA ha dimostrato di ridurre i rischi di ospedalizzazione dal 72 al 90%.


In quel contesto viene anche chiarito che non sarebbe stato un favore alla multinazionale, al contrario:

una volta che l’FDA l’avesse autorizzato, sarebbero partite richieste da altri Paesi.



L’occasione, da cogliere al volo, cade nel vuoto,
per una rigida adesione alle regole di AIFA ed EMA che non hanno però fermato la rigorosa Germania.


Altra ipotesi: l’offerta è stata lasciata cadere per una scelta già fatta a monte.

Sui monoclonali da marzo il Governo ha investito 380 milioni per un progetto tutto italiano
che fa capo alla fondazione Toscana Life Sciences (TLS), ente non profit di Siena,
in collaborazione con lo Spallanzani e diretto dal luminare Rino Rappuoli.


La sperimentazione clinica deve ancora partire e la produzione, salvo intoppi, inizierà solo a primavera 2021.

A quanto risulta al Fatto, l’operazione con Eli Lilly, che già due mesi fa avrebbe permesso di salvare migliaia di persone, non sarebbe andata in porto per l’atteggiamento critico verso questi anticorpi del direttore dello Spallanzani che lavorerà al progetto senese.


“Non so perché sia andata così, dovete chiedere ad AIFA”,
taglia corto il direttore Giuseppe Ippolito, negando un conflitto di interessi:
“Non prescrivo farmaci, mi occupo solo di scienza”.



Quando l’FDA autorizza il farmaco, la multinazionale non può più proporre il trial gratuito ma deve attenersi al prezzo della casa madre.

Per assurdo, sfumata l’opzione a costo zero, l’Italia esprime una manifestazione ufficiale di interesse all’acquisto.

Il negoziato va in scena il 16 novembre alla presenza di Arcuri, del DG dell’Aifa Magrini e del ministro della Salute Speranza.

Si parla di prezzo e di dosi ma il negoziato si ferma lì e non va avanti.


Neppure quando il sindaco di Firenze torna alla carica.

Dario Nardella annuncia ai giornali di aver parlato coi vertici di Eli Lilly e che
“se c’è l’ok della Commissione Ue, la distribuzione del farmaco a base di anticorpi monoclonali potrebbe cominciare dopo Natale non solo in Francia, Spagna e Regno Unito ma anche in Italia”.

Natale è alle porte e in Italia non c’è traccia di farmaci anticorpali nè
si ha notizia di una pressione dell’Aifa per sollecitare l’omologa agenzia europea.


Come se l’opzione terapeutica per pazienti in lotta col virus, già disponibile altrove, non interessasse.



L’AIFA e la struttura di Arcuri – sentite dal Fatto – ribadiscono:
finché non c’è l’autorizzazione EMA non si va avanti.


Di troppa prudenza si può anche morire, rispondono gli scienziati.

“Io avrei accelerato”, dice chiaro e tondo il consulente del ministro Walter Ricciardi, presente alla riunione un mese fa:

“Con tanti morti e ospedalizzati valutare presto tutte le terapie disponibili è un imperativo etico e morale”.


Il virologo Silvestri, che tanto aveva spinto:

“Non capisco cosa stia bloccando l’introduzione degli anticorpi di Lilly e/o Regeneron,
che qui negli States usiamo con risultati molto incoraggianti”.


Ieri sera si è aggiunta anche la voce critica dell’immunologa dell’università di Padova Antonella Viola:


“E’ sorprendente questo ritardo, cosa aspettiamo?”.


Per il professor Clementi, siamo al paradosso.

“È importante trovare il miglior farmaco possibile, ma non possiamo scartare a priori una possibilità terapeutica che altrove salva le persone.
Una fiala costa poco più di un giorno di ricovero e ogni risorsa che risparmi la puoi usare per altro.
Tenere nel fodero un’arma che si dimostra decisiva è incomprensibile. Da qui, la mia sollecitazione all’AIFA”.


Da Sesto Fiorentino rispondono che il loro farmaco, oltre ai benefici in termini di salute e risparmio,
avrebbe avuto anche ricadute economiche per l’Italia: nella produzione è coinvolto un fornitore italiano, la Latina BSP Pharmaceutical.


“Se andrà bene potremmo distribuirlo non solo negli Usa ma anche in Italia”,
esultava a marzo il titolare dell’impresa pontina, Aldo Braca.


Nove mesi dopo dallo stabilimento di Latina esce il farmaco più promettente contro il Covid.

Ma va soltanto all’estero.

5 feb 2020

Ignoranza e prevenzione (poverini)

I grandi media politicamente corretti hanno bellamente ignorato la notizia che la sassaiola effettuata a Frosinone da un gruppo di ragazzi italiani contro alcuni studenti cinesi era una bufala inventata da un professore.

La spiegazione di questa voluta omissione non è l’imbarazzo per dover riconoscere che l’enfasi da loro precedentemente data alla sassaiola, presentata come una dimostrazione lampante del razzismo dilagante in Italia, era stata troppo frettolosa e del tutto ingiustificata.

L’omissione non è dipesa dal fastidio di dover riconoscere l’errore commesso, ma da un fenomeno frutto della vulgata politicamente corretta che dilaga nel nostro Paesee che porta chi ne è affetto a comportamenti segnati da una forma rovesciata di discriminazione etnica e razziale.

Il professore di Frosinone che ha inventato la balla della sassaiola è un esempio concreto di questo razzismo alla rovescia.

Nella sua testa gli italiani non possono non essere razzisti a causa delle predicazioni d’odio effettuate dalla destra cattivista.

Per cui il fine nobile di denunciare la deriva di chi predica “prima gli italiani” giustifica l’invenzione di una bufala immediatamente trasformata dai media che praticano il razzismo alla rovescia in una dimostrazione inconfutabile del razzismo italico.

Ma il professore che applica la discriminazione ideologica all’incontrario non è un caso isolato.

Insieme a lui ci sono anche e soprattutto le massime autorità del Governo.

Che nella vicenda del coronavirus si stanno comportando seguendo l’esempio truffaldino del professore
ed usando a fini esclusivamente politici le misure imposte dall’esperienza e dal buon senso per contenere l’epidemia.

Il fine politico è risultato fin tropo evidente nella decisione di recuperare gli italiani presenti nella provincia cinese dove il virus provoca i maggiori danni e chiuderli in quarantena a Roma per salvaguardare la loro salute ed evitare l’eventuale diffusione del contagio.
Il Governo voleva e doveva dare una dimostrazione di capacità ed efficienza.

Ed anche se l’aver lasciato a terra un ragazzo di 17 anni per sospetta polmonite virale ha gettato uno schizzo di fango su questa prova, le pubbliche autorità hanno insistito nello sbandierare ai quattro venti la loro volontà di applicare il “prima gli italiani” nella versione buonista.

Il fine politico del governo razzista alla rovescia è poi diventato lampante nella scelta dei ministri della Salute e dell’Istruzione di condannare la richiesta dei governatori del Nord di applicare una quarantena di 14 giorni agli studenti rientrati dalle vacanze in Cina sostenendo che la quarantena nordista era il frutto di discriminazione etnica e razziale mentre quella romana era giusta e sacrosanta per ragioni sanitarie.

Anche per il Governo, come per il professore ballista, quindi, il fine giustifica i mezzi.

Ma anche il razzismo alla rovescia è razzismo. Anche se è più ipocrita dell’altro!

4 feb 2020

Coronavirus - Dati in tempo reale

I dati in tempo reale emergono da una mappa online sviluppata dal Center for Systems Science and Engineering della statunitense Johns Hopkins University
per visualizzare e tracciare in tempo reale l'evoluzione dell'epidemia di coronavirus nel mondo.
 

30 gen 2020

Giorni della Merla

Secondo un’antica tradizione il 29, 30 e 31 gennaio ricorrono i Giorni della Merla, ossia – almeno nell’immaginario collettivo – i giorni più freddi dell’anno.

Sebbene non ci sia una base scientifica a sostegno di questa tradizione i Giorni della Merla vengono ancora legati in modo folkloristico alla previsione della futura primavera.

Ma perché si chiamano così?


La leggenda più nota narra di una merla e dei suoi pulcini, in origine neri come i maschi della stessa specie, per ripararsi dal gran freddo si rifugiarono dentro un comignolo.
Vi restarono per tre giorni, identificati appunto come i più freddi dell’anno ed emersero solo il 1 febbraio, tutti grigi a causa della fuliggine.
Da quel giorno tutti i merli femmina e i piccoli furono grigi. La leggenda, infatti, vuole giustificare in maniera favolistica il forte dimorfismo sessuale
che si osserva nella livrea del merlo (turdus merula), che è bruna/grigia (becco incluso) nelle femmine, mentre è nera brillante (con becco giallo-arancione) nel maschio.


Esiste anche un’altra versione della storia, che introduce la figura di “Gennaio”.
Secondo questa leggenda la merla era regolarmente strapazzata da gennaio, mese freddo e ombroso,
che si divertiva ad aspettare che lei uscisse dal nido in cerca di cibo, per gettare sulla terra freddo e gelo.
Stanca delle continue persecuzioni, la merla un anno decise di fare provviste sufficienti per un mese, e si rinchiuse nella sua tana,
al riparo, per tutto il mese che allora aveva solo ventotto giorni.
L’ultimo giorno del mese, la merla, pensando di aver ingannato il cattivo gennaio, uscì dal nascondiglio e si mise a cantare per sbeffeggiarlo.
Gennaio se ne risentì così tanto che chiese in prestito tre giorni a febbraio e si scatenò con bufere di neve, vento, gelo, pioggia.
La merla si rifugiò alla chetichella in un camino e lì restò al riparo per tre giorni.
Quando la merla uscì, era sì salva, ma il suo bel piumaggio si era ingrigito a e così essa rimase per sempre con le piume grigie.

Secondo la tradizione, inoltre, il clima registrato nei Giorni della Merla darebbe un’indicazione su cosa aspettarsi per la primavera.
Se i Giorni della Merla sono freddi la primavera sarà bella, in caso contrario la primavera arriverà in ritardo.


Quest’anno i Giorni della Merla si presentano non particolarmente rigidi con temperature che raggiungeranno massime tra i 10 e i 14 gradi e possibili gelate solo nelle ore notturne in pianura.

28 gen 2020

Andiamo avanti con le spallate al muro.......prima o poi cade.

Va bene, adesso ritorniamo sul Pianeta Terra e rimettiamo le cose al loro posto:
nessuno poteva realisticamente immaginare che il centrodestra arrivasse a vincere le elezioni in Emilia-Romagna,
nemmeno lo stesso Matteo Salvini.

Ovviamente il leader leghista, abituato a giocarsela da kamikaze, ha ostentato baldanza per tutta la durata della campagna elettorale pensando così di innescare un effetto di trascinamento dell’elettorato. È rischioso come metodo? Molto, ma a volte funziona.
In caso contrario, gli avversari te lo rinfacceranno per una settimana e poi si stancheranno.

La logica però, a ben vedere, in parte ha funzionato visto che, mentre nel 2014 era finita 49 per cento per la sinistra e 29 per cento per il centrodestra,questa volta è finita 51 a 43 per cento.

La partita è stata aperta fino alla fine portando il partito di Salvini ad essere il secondo in termini di voti.
 La qual cosa non è proprio trascurabile.

In secondo luogo, il fatto che la classe dirigente del Partito Democratico non si sia fatta vedere in regione per tutta la durata della campagna elettorale (facendo addirittura sparire i loghi di partito dai manifesti) e demandando alle Sardine – il vuoto che avanza –la gestione dell’intera propaganda, la dice lunga sulla strizza che Stefano Bonaccini e compagni hanno avuto in questi mesi.

Faceva tenerezza Nicola Zingaretti domenica: tutto sudato ed eccitato, esultava manco il Pd avesse vinto il mondiale di calcio del 2006.
Suvvia, si trattava della “rossa Emilia”, vincere era quasi un dovere.


La vittoria di Salvini sta proprio nel non aver permesso alla sinistra di considerare la vittoria una cosa scontata. Ed oggettivamente di più non poteva.

Altra manovra rischiosa, puramente voluta, è stata quella di trasformare una elezione locale in un referendum nazionale sull’Esecutivo:
una forzatura a livello costituzionale e politico
necessaria però a trasformare un voto “ideologico” (in Emilia si vota a sinistra a prescindere) in un voto di opinione.

Ovviamente non è bastato, ma qualche effetto lo ha prodotto in termini di contendibilità dell’elettorato.

Nessuno – tranne Massimo D’Alema nel 2000 – si è mai dimesso dopo aver perso le Regionali.

Adesso ovviamente si è scatenato il pollaio, una sorta di cortina fumogena sulla scorta della quale
la Lega sarebbe morta in ragione della sconfitta in Emilia-Romagna e il centrosinistra avrebbe tenuto arginando la pericolosa “fifa verde”.

Il dato reale – se vogliamo dare una dimensione nazionale alla vicenda – è l’annientamento dei grillini che da Cinque Stelle diventano ostello della gioventù.

I Pentastar hanno perso tutte le elezioni celebratesi dal 2018 ad oggi passando dal trentaquattro per cento al sette per cento scarso.

Eppure in Parlamento quello grillino è il gruppo più numeroso ed influente nonostante, dati alla mano, ciò non corrisponda vistosamente alla realtà fattuale

Quando avrà smesso di muovere l’aria, magari sarebbe ora che la politica, in special modo quella che alberga sui Colli, quelli alti, facesse un ragionamento serio.

Ma va. Ma guarda chi ha vinto in Emilia Romagna

Ragazzi, sono abituato a dare a Cesare quel che è di Cesare.
I risultati sono come la matematica. Li giri, li pirli, sono sempre quelli :

PD aveva 29 seggi. NE HA CONFERMATI 22 - HA PERSO 7 seggi

5 stelle avevano 5 seggi. NE HANNO CONFERMATI 2 -
HANNO PERSO 3 seggi

Avvocato delle cause perse. 10 SEGGI IN MENO. AVETE PERSO.

Ora vediamo se la lega ha perso :

LEGA aveva 8 seggi. NE HA CONFERMATI 15
- HA VINTO 7 SEGGI

FdI aveva 1 seggio. NE HA CONFERMATI 3 - HA VINTO 2 SEGGI

Avvocato delle cause perse. 9 SEGGI IN PIU'. HANNO VINTO

Chi ha vinto e chi ha perso in Emilia Romagna ?

Avvocato 32% - TRENTADUEPERCENTO -

Ma si sa, un avvocato "ballerino" cosa ne capisce di matematica ?

27 gen 2020

Governo a pezzi dopo le elezioni

La spallata al centrosinistra, promessa da Matteo Salvini, è riuscita a metà. Benissimo in Calabria, meno bene in Emilia-Romagna.

Per quanto sottoposta a un fuoco di fila potente, la roccaforte rossa ha retto l’urto.
Stefano Bonaccini
ha vinto sulla competitor di destra Lucia Borgonzoni.

Non bisogna nascondersi dietro un dito: la delusione per un mancato risultato che avrebbe cambiato la storia del Paese c’è.
Tuttavia, non è giustificabile passare da un eccessivo entusiasmo costruito su una speranza a un crollo emotivo autolesionista.
Perché l’Emilia-Romagna non è il Paese. E poi, non si dimentichi che la Calabria è ancora Italia e
non si comprende perché non si debba dare altrettanto peso al voto in quella regione.

Non riusciamo a comprendere l’euforia, al limite dell’isterismo, che ha contagiato politici e analisti in forza al campo progressista.

In un successivo momento commenteremo i dati numerici esatti del voto di ieri.
A spanne, emergono da una prima considerazione almeno tre elementi che dovrebbero indurre tutti a maggiore cautela nell’analisi degli risultati della domenica elettorale.

In primo luogo, l’enfatizzata sconfitta di Salvini in Emilia-Romagna non è stata tale.
La destra plurale ha raccolto un consenso di lista che supera in 45 per cento, in un’elezione dove l’astensionismo non l’ha fatta da padrone.

Se si considera che il Partito Democratico, alle stesse elezioni regionali raccoglieva un consenso del 40,65 per cento contro una Lega al 13,68 per cento, la candidata del centrodestra dell’epoca, Anna Maria Bernini, non andava oltre il 36,73 per cento, vedere oggi la Lega al 31,93 per cento, mentre il Partito Democratico è al 34,70 per cento e la candidata Lucia Borgonzoni raccogliere il 43,62 per cento, non si può non cogliere il segno di un processo di cambiamento profondo nella cultura e nel sentire degli emiliano-romagnoli.

In secondo luogo, la campagna elettorale fortemente polarizzante condotta da Matteo Salvini ha sortito l’effetto positivo di richiamare gli elettori alle urne.
Poco importa che i cittadini siano andati ai seggi per appoggiare l’assalto al cielo di Salvini o per impedirlo a ogni costo.
Alle Regionali del 2014 dell’Emilia-Romagna votò soltanto il 37,71 per cento degli aventi diritto: una sconfitta per la democrazia.
Ieri l’affluenza ha superato di poco quella per le Europee dello scorso anno attestandosi al 67,67 per cento.
Non è forse questa una buona notizia di cui si dovrebbe dire grazie anche alle improvvide citofonate del leader leghista?

In terzo luogo, la polarizzazione ha riportato sul giusto binario della dialettica democratica il confronto tra una destra e una sinistra chiaramente connotate.
 Il fenomeno distorcente del falso terzo polo costituito dai Cinque Stelle, che ha alterato gli equilibri consolidati del bipolarismo italiano, è letteralmente scomparso.
Non bisogna sottovalutare il crollo verticale dei grillini, sia in Emilia-Romagna sia in Calabria.
È questo il dato sul quale sarebbe opportuno soffermarsi perché non può non sortire ricadute sulla tenuta del MoVimento nel suo complesso.

Mettiamola così: a Salvini non sarà riuscita la spallata perché il sistema-Emilia ha retto, ma una bomba a tempo il leader della Lega è riuscita a piazzarla nel cuore della maggioranza di governo.

Alla luce degli ultimi risultati, siamo nell’inedita situazione che in Parlamento e al Governo c’è una forza maggioritaria che non esiste quasi più nel Paese.

Qualcuno dalle parti del Quirinale dovrebbe porsi la domanda se e per quanto tempo un tale scenario sia sostenibile.

Ma a rendere superfluo il punto di vista del Colle potrebbe intervenire la subitanea implosione del Cinque Stelle.
Bisogna capirli, i poveri grillini. Hanno fatto un tratto di strada al governo con la Lega lasciando sul campo metà dei consensi ricevuti alle politiche del 2018.
Da settembre si sono aggrappati alla sinistra nella speranza di restare a galla e invece sono stati spianati, in successione, in Umbria, in Calabria e in Emilia-Romagna.

I numeri in queste ultime due regioni li danno, come lista, rispettivamente al 6,22 per cento e al 4,74 per cento.

Si tratta di un trend che porta alla graduale scomparsa del Movimento dalla scena politica nazionale
.

Ora, tra i grillini che attualmente siedono in Parlamento scoppierà la sindrome del si-salvi-chi-può.
Non sono pochi i “peones” pentastellati che non puntano semplicemente a terminare indenni la legislatura ma ambirebbero ad avere un futuro, e un reddito sicuro, in politica.

Se alla Camera dei deputati la maggioranza gode di numeri sufficientemente ampi, al Senato invece si corre sul filo del rasoio.

Domanda: è tanto assurdo immaginare di trovare tre o quattro senatori grillini che da oggi, guardandosi allo specchio, si chiedano chi glielo faccia fare di restare su una barca che affonda mentre trasbordando su un transatlantico battente bandiera della destra potrebbero salvarsi prolungando di almeno un’altra legislatura la permanenza nelle istituzioni?

Parafrasando una pubblicità in voga alcuni anni orsono: una telefonata a Matteo Salvini, o a Giorgia Meloni, potrebbe allungargli la vita.

A questi tre elementi percepibili ictu oculi se ne aggiungono altri che meritano approfondimenti.

Qual è stato l’impatto delle “Sardine” sulla vittoria di Stefano Bonaccini?

Come valuterà Matteo Renzi il risultato elettorale tenendo conto che una ritrovata centralità egemonica del Pd nel campo progressista taglia le gambe al suo tentativo di destrutturazione della sinistra in vista di una ricostruzione in chiave bleariana e macroniana del campo progressista,che è il nocciolo della strategia corsara del fu “rottamatore”?

II crollo di Forza Italia nel voto emiliano-romagnolo come va interpretato?
È un incidente di percorso o il segnale di un ciclo politico esaurito con la trasmigrazione dei liberali in altri contenitori, come ad esempio quello neo-conservatore di Fratelli d’Italia?

Il partito di Giorgia Meloni, non a caso, cresce nei consensi in un rapporto con l’alleato forzista che rimanda alla logica dei vasi comunicanti.

E, in ultimo, il mancato sfondamento in Emilia-Romagna porterà a un ripensamento della strategia comunicativa imposta da Matteo Salvini
o le prossime tornate elettorali verranno scandite dai medesimi toni uditi in questo test?

Domande che chiedono risposte, risposte che sollecitano ragionamenti. È la politica, bellezza!

La Verità sul clima dagli Scienziati....non dai gretini.

Quanti interessi dietro la favola dell'emergenza climatica.

La scorsa estate, i professori Uberto Crescenti, Giuliano Panza, Alberto Prestininzi, Franco Prodi, Franco Battaglia, Mario Giaccio, Enrico Miccadei, Nicola Scafetta
e numerosi altri cittadini hanno inviato una petizione al Presidente della Repubblica chiedendo l'adozione di misure di protezione dell'ambiente
coerenti con le conoscenze scientifiche, evitando di aderire a politiche di riduzione acritica della immissione di anidride carbonica in atmosfera.


In buona sostanza: benissimo adottare misure ecosostenibili e green, ma senza scadere nel catastrofismo gretino.

Come ricordano i docenti nella petizione, secondo la tesi prevalente, a partire dal 1900,
ci troveremmo in presenza di un riscaldamento globale del pianeta causato quasi esclusivamente dalle attività antropiche.

Questa è la tesi del “riscaldamento globale antropico” promossa dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazione Unite.
Quella del riscaldamento globale causato dalla CO2 antropica è però, spiegavano già la scorsa estate,
"solo una congettura non dimostrata, ma dedotta da alcuni modelli climatici che sono complessi programmi al computer chiamati General Circulation Models".

Al contrario, la letteratura scientifica ha messo sempre più in evidenza l’esistenza di una variabilità climatica naturale che questi stessi modelli non sono in grado di riprodurre.
Una variabilità naturale che spiega una parte consistente del riscaldamento globale osservato nell’ultimo secolo.

Le tesi allarmistiche, osservavano, proposte come fatti scientifici, si basano solo sui suddetti modelli che interpretano il riscaldamento globale di circa + 0.9°C, osservato dal 1900,
come dovuto quasi unicamente alle emissioni antropiche. Ora gli stessi docenti promotori dell'iniziativa spiegano perché quella petizione ha scatenato la reazione dei climaticamente corretti.

"Gli interessi dietro la favola dell'emergenza climatica sono enormi" osserva il professor Franco Battaglia.

"Abbiamo sfidato i nostri detrattori a un confronto pubblico, si sono rifiutati.
I modelli climatici non hanno ricostruito il clima caldo del passato né l'arresto del riscaldamento degli anni 1940-75
e neppure hanno previsto il clima degli anni 2000-2019. La nostra petizione nega che sia stato dimostrato
che l'attuale riscaldamento globale sia dovuto alle emissioni antropiche".


Battaglia ricorda inoltre che

"non c'è prova che l'uomo abbia mai influito sul clima in modo misurabile. La CO2 è un gas serra ma dire che riscalda il pianeta
sarebbe come sostenere che chi mette un cent al giorno nei forzieri di Paperone può influire sulla sua ricchezza".


Sulla presunta origina antropica dei cambiamenti climatici, cavallo di battaglia dei climaticamente corretti e e dei sostenitori dell'emergenza climatica provocata dall'uomo,
il professor Nicola Staffetta spiega che

"l'uomo fa parte del sistema ma non c'è accordo tra gli scienziati su quanto egli contribuisca al cambiamento climatico.
Periodi caldi e freddi si sono alternati pure quando l'uomo non esisteva ancora o quando comunque non c'erano problemi di emissioni di anidride carbonica da combustibili fossili.
Settemila anni fa, sulle Alpi, i ghiacciai erano molto ridotti e sono stati trovati alberi cresciuti ad altitudini di 100 o 200 metri superiori a quelle dove crescono oggi".


La verità è che, come osserva il professor Uberto Crescenti, i catastrofisti del clima continuano a ignorare la storia.

I catastrofisti, sottolinea il professore,

"sostengono che l'aumento della temperatura vada limitato al massimo a due gradi, per evitare l'immane catastrofe",
ma in passato ci sono state fasi "più calde dell'attuale senza che si sia verificata la fine del mondo".

Centomila anni fa, in Inghilterra, ricorda, "vivevano ippopotami, elefanti, leoni e scimmie.
Nel Medioevo la temperatura era superiore di almeno 2-3 gradi rispetto a oggi".


Dati storici sistematicamente ignorati dai catastrofisti: e chi osa ricordarli, diventa immediatamente un negazionista del clima.

Più che scienza, però, quella del climaticamente corretto sembra una fede.